Sommario
I
nuovi saperi che docenti e dirigenti della scuola potranno cercare di
conoscere, stabilire e consegnare a generazioni di allievi son quelli
-che scaturiranno dallo scontro e dall'incontro fra la storia dello
spirito come tradizione culturale (in lingua italiana o di altre lingue
ormai subalterne come francese e tedesco) e la forza del presente come
razionalità tecnico-economica (in anglo-informatico, che non è solo una
lingua ma una visione del mondo, in prossima evoluzione su nuove basi
indiane e cinesi).
La ricomposizione dei saperi classici e l'entrata
di quelli "nuovi" e in particolare delle nuove morfologie del sapere
possono servire a intendere le pieghe del mondo di fine millennio, i
reticoli multiplanari, i nodi distributivi, gli scarti nella direzione
di senso che covano sotto le apparenti regolarità evolutive di un
universo divenuto pluriverso ipercomplesso. Gli insegnanti e i dirigenti
hanno bisogno di inventare (trovare, immaginare) saperi "nuovi" come
l'informatica, rinnovati nella loro struttura epistemologica. Di
costruire una scuola che sappia pervenire a interpretazioni originali e
adeguate del mondo e sappia progettare le forme inevitabilmente
irregolari (ma non caotiche o deintenzionalizzate) della didattica che
dovranno resistere alle vettrici di piegamento della contemporaneità.
Capire e progettare per non doversi completamente adattare; conservare
così la dignità della scienza come pura, indifferenziata, aprente
capacità di conoscere. E del magistero.
.
1. Ripensare/rileggere il mondo
La
nostra generazione, ultima dell'era preinformatica, ha letto il mondo e
lo ha concepito (nel doppio significato di capire e dare alla luce)
attraverso la parola e la scrittura. Lo ha attraversato grazie al nome
che ciascuno di noi ha ricevuto dai genitori, alle prime e fondamentali
indicazioni dei Maestri; lo ha penetrato attraverso le pagine dei
classici.
Da oceani di parole pronunciate e ascoltate, dalle acque
della tradizione, dai miti, dalla parola fatta storia e genitrice dello
spirito nacquero i primi libri, i più grandi: Gilgamesch, l'Iliade,
l'Odissea, la Bibbia. I nostri libri, le nostre fonti. Quando la parola
si fu fermata sulla stele, sul papiro, sulle tavole d'argento iniziò
l'età della scrittura e con essa la contemporaneità nella storia, la
coabitazione della distanza. Fissati i pensieri nella pietra, fu
possibile allontanarsene, tornarvi, dialogare con essi, scoprire
l'alterità del passato e dei giorni nuovi.
Occorre ricordare
questa storia, ora che stiamo per uscire dalla scrittura, ora che
l'immensa macchina mondiale sta per costruire mondi virtuali più veri
del vero, perché al tempo stesso eventi e mediazioni di eventi, mondi
senza apparente bisogno di lettura perché autodidascalici,
autoesplicitanti, avidi di assimilare a sé e alla propria subcultura gli
abitanti del vecchio mondo.
I bambini non nascono più al mondo,
nascono all'universo televisivo e telematico; non entrano nella storia
ma nel fumetto elettronico. E potrebbero essere indotti a pensare, come
gli schiavi della caverna platonica, che le ombre che si accendono sulla
parete (stavolta del tubo catodico) siano la verità. Ed elaborano la
loro logica epistemica non solo a partire dai fenomeni "reali" ma
-sempre di più- a partire da apparizioni di "realtà" virtuali.
1.
2. Trasformazione elettronica del campo esistenziale, cambiamento
quanti/qualitativo della conoscenza e fondazioni categoriali dei saperi
del nuovo mondo
Uno dei problemi teorici più interessanti é
dunque quello di riuscire a capire quali spazi i nuovi saperi debbano
avere nell'ambito complessivo dell'educazione in relazione a come oggi
la mente, in particolare quella del bambino, "sente" e conosce. La
formazione/costruzione soggettiva del sentimento e del pensiero del
mondo erano ritenute come invarianti: le categorie classiche di causa,
oggetto, fine, spazio etc. rimanevano le stesse nei millenni. Non era
del tutto vero: il mutare del mondo comporta sempre impercettibili
mutamenti delle categorie usate per muovervisi; non passa un minuto
senza che lo spirito -la mente dell'umanità- non cambi di qualcosa il
proprio assetto categoriale. Ma enormi cambiamenti del mondo e nel
rapporto soggetto-mondo separano il bambino che conosce oggi dai suoi
coetanei degli anni appena (storicamente) scorsi, ad esempio da quelli
della mia infan¬zia. L'universo di riferimento di Gabriele-bambino era
in grandissima parte fatto d'immagini cui corrispondevano oggetti fisici
e comunque gli oggetti e le persone raffigurati in deboli disegni o in
qualche occasionale visione filmica erano apparizioni temporanee,
fuggevoli; non erano riferimenti, non formavano fasci di eventi
precategorizzati e da introiettare senza complessi percorsi di
mediazione. Nel nostro tempo, ovvero nel tempo della pervasività dei
prodotti della tecnologia dell'informazione, il riferimento non é più
l'oggetto o la persona in carne ed ossa ma un insieme d'immagini e
parole in cui il baricentro dei significati é sempre più spostato verso
la componente virtuale dell'universo. Il riferimento é sempre più quanto
compare in un quadrante elettronico.
I nuovi saperi della scuola
devono tener conto che non solo i contenuti e le forme ma anche le
stesse categorie classiche della conoscenza umana stanno mutando
nel¬l'interazione con il nuovo mondo.
-Lo spazio come luogo fisico,
radicamento ineludibile, nel virtuale é scomparso e divenuto oggetto di
ogni tipo di manipolazione, restringimento od estensione arbi¬traria.
-Il
tempo é schiacciato sul presente; il passato e il futuro son tremolii
dell'attimo e l'attimo é sempre precario, può essere interrotto
improvvisamente da uno spot; non c'é lontananza e non c'é attesa, tutto
può sparire e comparire in qualsiasi momento. Adesso é l'ora di Saylor
Moon (presente); tra poco c'é l'ispettore Gadget.
-L'oggetto, con la
sua presenza fino a ieri "dura" e la sua resistenza formale e
sostanziale alla manipolazione, può essere cancellato con un clic e
fatto ricomparire con un doppio clic; il nulla acquista forma, colore,
dimensione, persino odore. L'essere e il niente son solo un entrare e un
fuoriuscire dalla memoria e questa rischia di essere principalmente lo
stato delle interconnessioni di circuiti elettrici con cui occorre
interfacciarsi.
-La causa -regolatrice del passaggio da uno stato
all'altro delle cose, mediatore lo¬gico della transizione, articolo di
codice della necessità- scompare: il succedersi degli eventi sullo
schermo é acausale, dipende dalla volontà di potenza del padrone
dell'emittente. L'immagine é un derivato dell'immaginazione. Sarebbe
anche bello se fosse una facoltà concessa a tutti gli uomini, e non
solo in teoria.
Ora il sistema informativo mondiale (TV, apparati
telematici) ha occupato le case e le scuole, non lascia molto spazio
alla formazione tradizionale; ha in alcuni casi messo l'equivalente di
un siliceo , alieno chip nel cervello di ciascuno di Ora: la
con¬seguente mutazione dell'essere umano va affrontata o rimossa? E'
bene che la scuola accolga o no la tecnologia della manipolazione del
soggetto (il quale manipo¬lato lo é stato sempre ma mai con questa
potenza di mezzi)?
Chi si é formato a contatto con le immagini
elettroniche e i saperi collegati vedrà e rappresenterà il mondo
diversamente rispetto a chi si è formato sui libri.
Il soggetto tardomoderno (e il bambino in particolare) sta subendo una mutazione del software antropologico.
Se
un tempo il mondo "ufficialmente reale" rappresentato dal sapere
ufficiale delle scuole "moderne", dalle enciclopedie, dalla macchina
massmediologica preinformatica, dalle Leggi della scienza e
dell'economia era una "cornice" lignea che offriva allo sguardo un
contenuto altro da essa, che mostrava altri mondi, ora la cornice dei
saperi é diventata di plastica e si é estesa all'interno fino a occupare
tutto lo spazio visibile e ad addormentare per sazia atrofia il senso
dell'invisibile.
Contemporaneamente, l'incomprimibile facoltà
immaginativa e di rispondenza all'immaginale, cacciata dai luoghi di
educazione deputati si é diretta ad altri spazi: abita gli stati di
coscienza alterati dagli universi virtuali del computer domestico, dal
lavoro frenetico (anche la fatica fa vedere "la luna nel pozzo") o con
maggiore pia¬cevolezza immediata dalle macchine da "divertimento"
(discoteche, videogames, ambiti di diversione dall'immaginario
"naturale") o dalle droghe di sintesi, sostitutive di quelle che nei
secoli e nelle varie culture (da noi il vino) avevano sostenuto il
bisogno soggettivo di temporanee riprospettazioni dell'universo dei
fenomeni.
La questione su cui occorre intervenire diviene allora la
seguente: come può una tradizione come quella delle scuole, centrata
sul valore della soggettualità, cambiare abiti mentali e proporre una
lezione ascoltabile nel tempo della virtualità dei riferimenti e della
serializzazione/standardizzazione dei processi educativi, specie in
tempi di "ristrutturazione senza riforma" ?
Penso che la scuola debba
riconoscere le attuali malattie del soggetto (malattie esistenziali e
della conoscenza) e lavorare affinché i soggetti concretamente esistenti
in questo spazio e in questi tempi trovino modo di prender coscienza
di esser cambiati e di star cambiando nella struttura millenaria del
loro esistere(1) e del loro conoscere. Come primo atto si potrebbe
riconoscere che il soggetto di tradizione occidentale come modello di
tutti i soggetti non é più scontato, che lo scenario dello stesso
Occidente comprende ora masse importanti e significa¬tive d'individui
che non possono più rientrare né nella tradizione greco-romana né in
quella ebraico-cristiana . Il soggetto é divenuto plurale e, come ho
argo¬mentato in "Appunti sulle costellazioni della pluralità" (in AAVV,
"Nel tempo della pluralità" La Nuova Italia, Firenze,'97) é una
pluralità di cultura, radicale, altamente contraddittoria e
conflittuale. La sua mente non abita più solo nel corpo ma é allocata
anche nell'hardware informatico.
Passeremo forse dall'idealismo
classico (ciò che é é in quanto é nel pensiero) all'idealismo
telematico: ciò che é é in quanto é nello schermo o nell'hard disc. Nel
sistema massmediologico verrà offerto il mondo come universo di
oggetti-cosa e di entità personali che posson essere comprati e
rivenduti, fatti uscire e tornare nel nulla al prezzo di una parte della
propria vita.
2. Plurali livelli di complessità e tratti principali delle nuove morfologie del sapere
Che
i saperi mutino é evidente e facile a intuirsi, riconoscerne le forme
nuove é difficile in quanto si deve interpretare in questo caso un
processo di trasformazione della conoscenza entro un quadro di
evoluzione che riguarda anche la propria strada di avvicinamento. E' un
pò come osservare una macchina in corsa da un'altra macchina in corsa.
La conoscenza non può che essere condotta da una prospettiva
transdisciplinare che veda una circolarità di saperi preinformatici
(testamenti intellettuali dell'umanità come é stata sino ad ora
rappresentata) capaci di mettere solo processualmente in parentesi il
mondo e se stessi, volti a interpretare e a raccontare la capacità umana
di pensare originalmente nell'ambiente ma anche contro l'ambiente e
oltre esso. E sarà allora conoscenza, a mio parere, che viene dalla
vita e dalla cultura: non monolitica ma plurale, non descrittiva ma
interpretativa e narrativa, non solo universale ma anche regionale, non
dominata dalla necessità ma aperta sul possibile, non deterministica ma
indeterministica, non epistemica ma epistemo¬logica, non sistemica ma
costellazionale. Una conoscenza che non sovrasta ma accade (contro
l'intronizzazione epistemica antiepistemologica), che non invade ma
accompagna; come evento-ad altri eventi.
E' importante che gli uomini
di scuola facciano proprie queste nuove morfologie del sapere; il
sapere del nuovo mondo non sarà diverso tanto per i contenuti, quanto
per le differenze nel tratto epistemologico e nel mezzo usato per
elaborarlo. Per evitare la babele scientifica, in questo campo come in
altri occorre accingersi, nel mio caso con gli strumenti della
fenomenologia, a una grande "impresa ermeneutica", una costruzione
fenomenologica di possibili mondi educativi, una rifondazione
epistemologica di antichi e nuovi saperi.
3. La curvatura tecnologica della storia e la sua intelligenza nella scuola
La
formazione del sapere e il dialogo tra le scienze sono sinora avvenute
nella diacronia dell'elaborazione umana e delle sue
compressioni/espansioni di significazione storicamente registrabili:
d'ora in avanti pare debbano avvenire principalmente in Internet. E
l'educazione? La scuola non deve perdere di vista il fine verso cui
tendere, altrimenti questi saperi rischiano di essere strumento di
frantumazione ulteriore dell'uomo. Se l' attenzione è rivolta ad un
soggetto intero che vive ed esperisce in un ambiente culturale, allora
l'intero del soggetto va collegato all'intero della cultura. Certo la
cultura è tutt'altro che unitaria; a proprio per questo vanno ricercate
trame, non analitiche, nè specialistiche, che sappiano connettere i
saperi tra loro nell' "antico" linguaggio dei libri.
4. La funzione della scuola nel nuovo contesto: raccontare la creatura umana
La
narrazione, forma tipica di linguaggio nella scuola, ora sopravvissuta
quasi soltanto nella s. materna, sta acquistando una forte rilevanza
sul piano scientifico. Ne viene messa in luce la capacità di favorire
l'appartenenza ad una cultura viva attraverso la consapevolezza delle
storie tra loro in relazione. La stessa identità per¬sonale, oltre a
quella culturale, si forma sapendosi collocare in una trama narrativa.
Contro il pensiero schematico che spesso monopolizza lo schermo dei tubi
catodici, quello narrativo consente la creazione di significati
culturali ed esistenziali, consente il ricordo, la retrospezione e
dunque un futuro che sa sanamente conservare (v. in bi¬bliografia
Bruner, Dallari, Demetrio).
Contrariamente a quello che sembra
voler dire Fabrizio Ravaglioli nel suo acutis¬simo ma inquietante
"Genealogia e malinconia della scuola" (Il Segnalibro, Torino, '96), é
questo l'ufficio della scuola: non il fare dell'alunno un
network-computer biolo¬gico, non l'immettere nel suo cervello un chip e
del software utili a farne elemento integrato nel sistema della
produzione e del consumo; ne deriverebbe un ambiente di allievi annoiati
e di docenti malinconici. Compito prevalente della scuola é -nella
convivenza con l'universo informatico- l'educare un'anima alla libertà
dello spirito, aiutarla -come fa da millenni- a leggere nel silenzio
della biblioteca o nel ronzio del minitower, per meglio guardare nel
chiaro del giorno e sognare nel buio della notte.-
Disorientamenti e indicazioni
Un discorso pedagogico sul libro nel tempo del prevalere delle
tecnologie dell'informazione, della pervasività del mezzo televisivo fa
sorgere subito interrogativi sul destino del libro e sulla sua
emarginazione rispetto alla grande forza ipnotica delle immagini
elettroniche.
Una domanda che sarebbe legittimo porsi é se la scuola
educhi meglio all'autonomia intellettuale, morale ed estetica portando
al proprio interno l'elettronica e i suoi strumenti e i suoi linguaggi e
i suoi valori oppure continuando con i libri, i quaderni, i racconti, i
pensierini, i silenzi, i giochi, i sogni che spontanei sorgono nella
mente quando alcun meccanismo esterno glieli suggerisce. Ma é una
domanda vana: l'educazione delle masse -che presumibilmente continuerà
ed essere affidata al pubblico- é già e sarà sempre di più multimediale,
interfacciata con computers, tesa a fabbricare alti volumi di elementi
ben inseriti nella macchina mondiale dell'economia. Per inserirsi in
questo mondo ai livelli occupabili da grandi numeri di operatori,
l'autonomia non serve ed é anzi utile uno spirito flessibile e
correttamente gregario, con un chip ben innestato nel cervello; invece i
livelli superiori della futura struttura sociale, le future élites, la
minoranza composta dagli uomini cui la servitù delle masse continuerà a
consentire libertà saranno probabilmente educati -in costosissime,
esclusive scuole private- al libro e alla scrittura.
Se questo è lo
scenario più probabile, non significa che debba costituire l'obiettivo
per cui diligentemente lavorare. Io appartengo alla generazione che ha
cominciato a scrivere accompagnata da penna e calamaio; oggi scrivo
quasi esclusivamente sul computer (c'é se non altro il vantaggio che
non macchia). Scrivere nei due modi non é la stessa cosa e i pensieri
che il nuovo strumento induce non sono gli stessi, ma l'impronta
fondamentale della mia mente si é formata trent'anni fa, nel vecchio
modo e in quel vacchio mondo. I giovani penseranno diverso perche non
solo vivono l'odierno ambiente informatico ma qui hanno la loro iniziale
formazione.
Comunque, noi inattualmente educhiamo affinché tutti
possano divenire soggetti autonomi, liberi di provare il piacere della
lettura e il gusto della scrittura, grazie a questo piacere capaci di
dare un senso alla propria vita. In grado anche di lavorare sui computer
per quanto sarà necessario ai fini di assicurarsi la sopravvivenza.Se
questo è lo scenario più probabile, non significa che debba costituire
l'obiettivo per cui diligentemente lavorare. Noi educhiamo affinché
tutti possano divenire soggetti autonomi, liberi di provare il piacere
della lettura e il gusto della scrittura e grazie a questo piacere
capaci di dare un senso alla propria vita. Capaci di anche di lavorare
sui computer per quanto sarà necessario ai fini di assicurarsi la
sopravvivenza.
Dal mio punto di vista, penso emergano oltre alle
teorie riportate anche nei paragrafi precedenti, anche alcune utili
indicazioni di lavoro, utilmente disorientanti rispetto ai più correnti
canoni dell'essere in educazione e in didattica in compresenza con
apparati elettronici.
-Non essere nostalgici di un mondo senza computer nè entusiastici adepti del neofondamentalismo informatico.
-Ridurre
l'interiorizzazione dell'esterno massmediologico e burocratico, con le
sue cariche di chiacchiera, di banalità e di at¬tivismo alienante. Per
produrre categorie trascendentali (dunque ancorate anche al soggetto)
occorre "ridurre il volume" della catechesi del sistema in¬formativo
globale.
Imparare l'inglese e l'informatica -Appropriarsi del
sapere informatico e -se si é abbastanza giovani- della lingua inglese.
Sono i linguaggi del nuovo mondo e abbiamo bisogno di farli nostri se
vogliamo che il nuovo mondo non ci emargini.
E'importante che i
ragazzi crescano accanto a persone (genitori e/o insegnanti) cui questi
linguaggi non siano del tutto estranei. Stare accanto a chi vive questi
linguaggi é acquisire dimestichezza con le strutture concettuali del
nuovo mondo, imparare a sfruttarle e ove giusto a difendersene.
-Sapere delle fondazioni -Riconfigurare i massimi sistemi del
sapere moderno (rappresentati dalle discipline scolastiche
informatizzate) in una serie di piccole narrazioni offerte all'ascolto
soggettivo e il sa¬pere delle scuole come sapere delle fondazioni
categoriali, non delle fondamenta: le seconde -statiche- sono
irrimediabilmente incrinate; le prime -dinamiche- meglio resi¬stono agli
stati di equilibrio instabile, alle prospettive di sviluppi
catastrofici (in senso thomiano) della crisi del soggetto moderno.
-Nuove
morfologie del sapere Gli uomini di scuola devono imparare a pensare
secondo le nuove forme che i saperi postmoderni vanno assumendo,
acquisire una conoscenza non monolitica ma plurale, non descrittiva ma
interpretativa e narrativa, non solo universale ma anche regionale, non
dominata dalla necessità ma aperta sul possibile, non deterministica ma
indeterministica, non epistemica ma epistemologica, non sistemica ma
costellazionale. Una conoscenza che non sovrasta ma accade.
Cultura non monolitica ma plurale, non solo universale ma anche regionale
La
cultura in cui ci siamo formati e i programmi che si sono insegnati
dalla formazione dello Stato italiano erano (e sono) fondati sull'idea
di un unicum, di un'unità assoluta della serie dei fenomeni, una sorta
di tardiva cosmologia razionale, parto di una ragione unica. Un immenso
monolito culturale di pietra omogenea, frutto di un'unica storia, quella
occidentale. Un mondo che contiene il disegno di ogni sguardo
possibile, il lontano e il vicino, il presente e l'eterno, il caso e la
necessità composti nell'armonia di pagine perenni.
Cultura di un
universo, di eventi che prima di essere molti sono uno, parte di una
struttura essenzialmente teosofica, senza cui non sarebbero.
Superontologia che non ammette ontologie regionali, campo che preesiste
al suo attraversamento.
La cultura in cui offrire spazi di forma alle
nuove generazioni potrebbe invece recuperare l'idea husserliana
-presente soprattutto nella Crisi delle scienze europee - di saperi non
separati dalla concretezza del soggetto conoscente dai suoi tempi e dai
suoi luoghi, saperi che -parlando a lui- dicano di lui. Un sapere
(H.Arendt) plurale come sono plurali gli esistenti. Un sapere
(M.Heidegger) non espressivo delle ontologie universali imposte dal
mercato mondiale delle idee di successo ma prodotto gratuitamente,
interrogando nella propria lingua non il tutto ma ogni cosa e saldamente
poggiando i piedi sulla terra natia.
non descrittiva ma interpretativa
I
saperi scientifici tardomoderni "duri" e le scienze umane "fredde"
descrivono il mondo come se tale operazione fosse una semplice
fotografia del reale. Effettuata la fotografia, "monitorizzati" gli
eventi li collocano nel libro o nel cd-rom d'archivio. Il descrivere
serve poi (SNQI docet) a comparare e valutare ovvero a cancellare
soggetti ed eventi, differenze e diversità.
Del tutto diverso l'insegnamento dell'ermeneutica.
Per
essa, ogni conoscenza ha una storia e ogni nuova avventura della
scienza il più delle volte nasce da un'attesa, da un'aspettativa, da un
progetto. Poi ci sono eventi inattesi, inaspettati, improgettati,
indocumentabili che ugualmente accadono e trasformano non solo lo
scenario delle attese ma anche quello del pensabile: é l'irruzione del
futuro, dell'altro-dal-presente e dal-passato. Allora la storia non
procede, balza.
Mentre le scienze tardomoderne vertono su fenomeni e
cercano di spiegarli (Kant: spiegazione come connessione di un
fenomeno a un altro secondo la categoria della necessità), l'ermeneutica
(Dilthey) é il luogo del comprendere, scienza dello spirito che verte
non sul dato ma sul vissuto, l'erlebnis (evento di esperienza). Questo
non é un fenomeno come quelli cui fan riferimento le scienze del mondo
fisico ma una connessione di eventi interna/esterna al soggetto del
discorso scientifico. I saperi moderni tendono diabolicamente a
commettere e/o separare artificiosamente il testo dal contesto, cosa che
l'ermeneutica non compie se non processualmente (epoché).
Se
descrivo (tolgo la cosa dal suo essere-a-me o a-noi) non posso
comprendere/ il comprendere é il primo e ultimo modo di attuazione
dell'essere come esserci (essere nel mondo, essere-al-mondo), in
corrispondenza di un mondo-all'essere), é l'espressione di una ulteriore
possibilità di attuazione.
Una teoria della cultura non può inoltre
non considerare il circolo ermeneutico: data la precomprensione (il
conosciuto é già dentro la struttura del conoscente e viceversa), la
coappartenenza di soggetto e oggetto dell'interpretazione precede,
influisce e con-forma ogni atto conoscitivo.
non dominata dalla necessità ma aperta sul possibile, non ottocentescamente deterministica ma indeterministica
Uno
dei crucci dell’attuale ministro è la tendenza dei docenti a ignorare
la storia del Novecento. La tendenza a non trattare la storia
contemporanea non è grave solo di per se quanto come spia di una cultura
generale attardata a globalmente al XIX secolo. Nonostante il
neoidealismo, la teoria della complessità e le rivoluzioni della fisica
e della matematica, le tavole dei saperi su cui abbiamo studiato e su
cui corriamo il rischio di portare a studiare le nuove generazioni sono
ancora quelle delle grandi certezze del Positivismo. Se da parte dei
docenti più aggiornati non si manca di far cenno alla teoria dei quanti o
alla linguistica di derivazione ermeneutica, i programmi e le
programmazioni sono ancora interne allo scenario ottocentesco. La
renitenza a insegnare il Novecento in storia è un sintomo molto chiaro
di questa diffusa resistenza al Nuovo.
Uno dei tratti essenziali del
nuovo –ben studiata da Graziano Cavallini- è nell’idea che nelle
scienze umane come in quelle del mondo fisico non si debba far luogo a
una meccanica (classica) che spieghi la successione degli eventi in base
a meri rapporti di causa ed effetto ma che li racconti usando tutte le
categorie offerte dalla nostra sintassi. Non si tratta di negare il
concetto di causa ma di farlo agire insieme a tutti gli altri: fine,
tempo….. attenuando il determinismo, l’idea che di necessità le cose
procedano nel modo che è stato spiegato o “dimostrato”.
L’idea di
dimostrazione è particolarmente indicativa della mentalità di chi
ritiene di possedere la verità e di essere in possesso di strumenti per
una sua trattazione incontrovertibile, rispecchiante i nessi oggettivi
tra i fatti.
non epistemica ma epistemo¬logica
Il
tardomoderno culturale della cultura scolastica pensa a scienze
epi-stemiche, che stanno sopra (e fuori) la relazione tra i soggetti e i
fenomeni. La cultura da costruire potrà invece essere epistemologica,
un discorso-su condotto-da nel qui e nell’ora (Heidegger) del suo
concreto farsi e destinato a mutare con il mutare di tutti i suoi
soggetti e contesti.
Una costruzione culturale e scientifica che
accompagni le tappe della “epistemologia genetica” (Ceruti) , operi una
continua genesi ideale per giungere alla ideazione di strutture deboli
di connessione degli eventi. Una conoscenza narrativa che non sovrasti
ma accada , che non invada ma accompagni, che non detti leggi ma
discorra come evento-ad altri eventi.
non sistemica ma costellazionale.
Costellazione
C'erano una volta i sistemi. Magari: ci sono ancora.
Sono
rappresentazioni, inerzialmente sopravvissute alla loro ragion
d'essere, che manifestano tuttora la figura cardinale della tarda
modernità e della sua lunga agonia, così come la programmazione -che vi
ritrova l'ambiente ideale- ne rappresenta ancor oggi la procedura
tipica. La tarda modernità é l'età dei sistemi e della programmazione.
Un
sistema nasce per incrocio, per partenogenesi, qualche volta per
clonazione formale, da altri sistemi e si pone come oggetto attivo
dotato di realtà indipendente. Un sistema (il tutto "uber alles") é un
insieme che ha perduto la memoria e guadagnato la messa in parentesi o
il dominio delle parti, uno spazio gerarchicamente strutturato di
coordinamento (convergenza sullo stesso ordine) e cofinalizzazione
(convergenza sullo stesso fine ) che fa riferimento a sistemi
sovraordinati e costituisce, da solo o no, il riferimento di sistemi
sottordinati.
E' definitorio degli oggetti che lo formano e delle
rispettive funzioni e li nega nella loro indipendenza: un fenomeno é
inspiegabile se non attraverso il contesto (Bateson) Il sistema non
concepisce l' Altro dal sistema"
. In varia misura aperto o chiuso
che sia, é totalità (iperinerenza, negazione della singolarità e
dell'intenzionalità individuale) inintera, matematizzabile e
ingegnerizzabile, oggetto-supersoggetto essenzialmente esteso nell'in-sé
e nel per-sé, connotatante e connotato dal legame di parti, elementi,
variabili interdipendenti. E' "naturalmente" nemico della divergenza,
area entro cui potendo opera classificazioni e divisioni a seconda del
proprio punto di gravità osservativa generalmente segnate da tensioni di
difesa o di dominio.
E' importante che gli uomini di scuola
facciano proprie queste nuove morfologie del sapere; il sapere del nuovo
mondo non sarà diverso tanto per i contenuti, quanto per le differenze
nel tratto epistemologico e nella potenza dell'amplificazione
tecnologica.
Bibliografia di riferimento generale
NandoFilograsso "I dilemmi dell'educazione nella società acentrica" Quattroventi, Urbino, '97
Piero Bertolini "L'esistere pedagogico" La Nuova Italia, Firenze, 1988
Norbert Wiener "Introduzione alla cibernetica" Boringhieri, Torino, '66
Boole "Indagine sulle leggi del pensiero" Einaudi, Torino, '76
Thomas.Maldonado "Critica della ragione informatica" Feltrinelli, Milano, 96
AAVV "Epistemologia informatica" Transeuropa, Bologna '91
Gabriele Boselli "Postprogrammazione", Firenze, La Nuova Italia, '91
Gabriele Boselli "Formazione in servizio e universi informatici" in AAVV, "Inforscuola '96" - Atti, Hugony editore, Milano, 96
Agostina Melucci (a cura di) "Innovazione. Per la qualità della scuola materna" Il Segnalibro, Torino, '97
Agostina Melucci in "Un chip nel cervello di ciascuno di noi", INFANZIA, La Nuova Italia, '97
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