di Gabriele Boselli
In-tradurre al conoscere
Trasferire
i giovani nelle regioni del sapere, portare il sapere entro l’orizzonte
degli eventi per essi più significativo: questo il perenne compito
svolto dalla pedagogia come scienza filosofica, ovvero dal punto di
vista scientifico da cui mi appresto a far partire il mio intervento.
Son sempre stati molti i ragazzi dis-tratti dallo studio, quelli che lo
avvertivano come privo di significato per la loro esistenza non
comprendendo che un’esistenza senza studio è più povera di significato.
Oggi –dicono gli insegnanti- sono ancora di più ma forse è solo un
problema di percezione, evocato dal bisogno d’immaginare che un tempo
le cose andassero meglio.
Vi è comunque un problema di inadeguata
intro-duzione al percepire lo studio con il cuore e con la mente
insieme: non passa infatti nella mente quel che in qualche modo, anche
contrastato, è indifferente o odiato nel cuore; in particolare non
passa il conoscere “asettico”, emotivamente neutro, replica meccanica
di conoscenze altrui, atto seriale che potrebbe essere
indifferentemente recitato da una persona come da un’altra senza
significative variazioni e ridefinizioni di senso.
Conoscere come atto di coscienza del reciproco inerire
Si
conosce autenticamente (con passione) quando vi è non tanto un
passaggio di informazioni quanto uno scambio tra regioni ontologiche,
un consapersi nel reciproco inerire di una persona ad un’altra e di
tutte con l’habitat fisico (mondo della natura e la cultura: tra
natura, cultura e persona. Diversamente vi è solo un anonimo, ripetuto
passaggio di informazioni che spesso il ragazzo rifiuta perché le
avverte inautentiche, senza volto. Il volto (volto-a)
dell’insegnante-Maestro che si rivolge a un soggetto che impara a
sapere di sé, e per sè del mondo, che inizia ad essere autore
necessario di irripetibili atti di conoscenza (costanti individuabili
nel conoscere in atto).
Uso il verbo conoscere in quanto ciò di cui
si tratta indica essenzialmente azione, attività ermeneutica
soggettuale/intersoggettuale di disegno continuamente riconfigurato di
mondi-a; quell’immenso patrimonio dei saperi dell’uomo che l’attività
pedagogica fa circolare, porta a condivisione, ricostruzione e almeno
un poco ri-creazione.
Guasti del didatticismo filosoficamente infondato
Rilevo
poi come la prevalente didattica moderna spesso fallisca in quanto si
avvita sul perseguimento di mere competenze o presuppone i contenuti
già impacchettati del conoscere alla coscienza (quando non anche alla
posizione) del soggetto costituente la conoscenza; non solo, a volte
non la vede proprio.
L’egemonia dell’approccio “tecnico” in materia
ha fatto sì che il disagio esistenziale che si esprime nel rifiuto di
conoscere fosse (e sia) trattato come un problema di cattiva ed
emendabile risposta individuale alle sollecitazioni ambientali; si sia
astratto il soggetto dal corpo proprio e dalla società; si sia di
conseguenza promosso un comportamento “intelligente”, per intelligenza
intendendo solo un più efficace adattamento all’ambiente. Intelligente
sarebbe solo chi sa adattarsi efficacemente al contesto, non chi sa
elaborare una coscienza critica e una capacità di non seriale e
ripetibile intervento attivo. I fenomeni della dispersione e della
perdizione (droga, bullismo, abbandono scolastico, svogliatezza,
percezione della scuola come non-senso, ore passate “tra parentesi”)
sono invece spesso conseguenza dell’incapacità del soggetto di
costituire un mondo, di pervenire nell’autenticità a una coscienza
d’altro e di qui a uno stato e ad un agire veramente desiderabili e
ulteriori.
Valorizzare solo la componente adattiva dell’intelligenza
(pur necessaria per sopravvivere) che presenta il mondo come un
qualcosa che semplicemente sta e che il soggetto deve solo riconoscere
sollecita spesso reazioni di chiusura di quei soggetti –il fenomeno è
frequente proprio nell’età di cui trattiamo- che temono di restare
schiacciati.
Il mondo come l’ho visto io
Va allora
presentato non il mondo come episteme, ciò che assolutamente sta,
indifferente rispetto a chi è impegnato a conoscerlo, ma il mondo “come
l’ho visto io, per gli studi che ho fatto, per la lingua che parlo, dal
mio angolo di storia, dalle finestre sull’essere che si sono aperte
durante la mia vita”. E’ l’l’esplicita autenticità personale della
visione a in-tradurre al conoscere.
Occorre avviare una riflessione
e una risposta multidisciplinari, ovvero fare pedagogia teoretica
cercando entro un quadro teorico complesso comprendente tutte le
scienze dello spirito. Il gesto magistrale, l’indicazione della
cattedra si accompagna necessariamente con l’essere ciascuno di noi una
persona che appaia plausibile come riferimento e con l’insegnare bene
la propria disciplina. Italiano, matematica, scienze, tutte le
discipline sono intrinsecamente i linguaggi della salvezza.
Creare occasioni di coscienza
No!
Non ho voglia! Questo dice il ragazzo quando si accorge che il lavoro
della sua mente non è sufficiente ad accogliere situazioni o discorsi
eccedenti le sua possibilità di precomprensione (abbozzo in base al
progetto), inquadramento, categorizzazione, analisi ed elaborazione,
generando così alla coscienza un senso di disagio. A volte non lo
afferma esplicitamente ma tutto il suo comportamento lo proclama.
Il
non voler capire è sempre di un soggetto cosciente intorno a qualcosa
che la sua coscienza ha costituito come esterna al campo di espansione
mentale del soggetto. La noluntas consapevole è il primo approdo
dell’autocoscienza, di quella coscienza interna che si costituisce
prendendo contatto con il limite (interno? esterno? comunque sentito
come tale). Io sono colui che non vuole certe cose, che non capisce
altre cose, che non riesce perché non vuole a configurare adeguatamente
la massa di fenomeni materiali e immateriali che si prospettano alla
presa di coscienza del “mondo”, qui intendendo per mondo il complesso
delle cose percepite nell’attualità della coscienza. Il conoscere è
energia, luce, qualche volta penombra, mai buio. La conoscenza è la
forza gravitazionale dell’intelligenza umana storicamente formatasi che
porta una coscienza ad addensarsi dalla dispersione originaria o
secondaria, a entrare in una relazione più razionale (inquadrata
dall’attività “legislatrice” del sapere costituito) con il mondo,
intendendo per mondo l’insieme delle relazioni che la coscienza
trascendentale dell’umanità (qualcosa di simile all’io-penso kantiano o
alle categorie husserliane dell’intersoggettività) intrattiene con le
sue rappresentazioni culturalmente consolidate, con l’universo
dell’esserci. Di lì, da questa espansione della coscienza
nell’altro-da-se deriverà l’oggettualità del mondo ovvero l’esser il
non-io oggetto di operazioni di coscienza; fuori di questo movimento
non vi sono altri oggetti.
Voglio. Questo afferma il ragazzo
quando vede attenuarsi il grado di dissonanza tra l’esser-ci, la
struttura del proprio pensare e la percezione di adeguatezza al campo
di fenomeni attraversato.
Co-scienza di
Coscienza è
quell’idea e quel sentimento di se di sé che ci si forma attraverso
l’attività del con-sapere, con-sentire e con-dividere con altri un
campo di eventi. E’ l’atto oscillante ma sempre originario e
intenzionale dell’avvicinarsi e del prender le distanze da se stessi e
dalle cose per guadagnare un razionale (relativamente stabile)
sentimento di sé e una forza di protensione che faccia guadagnare un
inserimento autonomo nel mondo.. Non è la cosa su cui gioca buona parte
degli psicologi o il dato dei sociologi positivisti; in pedagogia non è
pertanto materia “fermabile” (il movimento le è essenziale),
oggettivabile.
Nessuna regione ontologica, nemmeno il mondo della
natura, può essere in modo assoluto presupposta alla coscienza. La
coscienza volgerà in conoscenza con il prender lucidamente e
razionalmente (secondo l’architettura dei saperi) parte a un mondo che
viene pensato –pur nella progressiva consapevolezza delle lenti di
lettura- come originalmente offerentesi.
Nonostante tutte le
relativizzazioni improprie, le riduzioni e le messe in parentesi,
coscienza è l’avvertire sempre e comunque il legame necessario del
ragazzo con il vissuto alla luce di una ragione che la pedagogia come
scienza filosofica indirizza a essere sempre più forte.
La
coscienza introduce la conoscenza come “coscienza di” “intorno a” : si
fa coscienza trascendentale (pre-conoscenza, ma non solo) quando
perviene attraverso se stessa a un sentimento del limite. Avvia alla
conoscenza quando, consapevole dell’esser-ci, fuoriesce dal non-conscio
(o forse dal dopo-niente) attraverso atti di in-tensione all’oltre
(Heidegger).
La coscienza avvia alla conoscenza quando trattiene il
soggetto dal non perdersi nei fatti decentrandosi da sè fino a perderne
nozione; quando lo fa riflettere sugli atti, assumere consapevolmente
nuove disposizioni, sapere ulteriormente di sè, autoeducarsi
attraversando plurali campi di esperienza.
Soggettualità come fattore originario dell’intenzionalità del conoscere
Perché
spesso il ragazzo non vuole aprirsi alla possibilità di conoscere? I
motivi sono molteplici e certo influisce potentemente la
svalorizzazione mediatica della scuola e della cultura in genere. I
miti pompati dai media per la gioventù di oggi sono il calciatore, la
velina o l’”eroe” del grande fratello.
Peraltro la vulgata
prevalente nelle scuole e nelle università presenta un quadro di
conoscenze epi-stemiche, che stanno sopra il fluire degli eventi e
dell’attività rappresentatrice (in senso kantiano) dei soggetti
individuale e collettivi. Produce feticci, parvenze, vendendole come
informazioni e conoscenze; le presenta come astratte dalla coscienza
del soggetto produttore e recettore, come sospese dal complesso e
mutevole campo intenzionale delle soggettualità nonchè dalla pluralità
e dalla mutevolezza delle pro-tensioni verso l'alterità.
L’atteggiamento
epistemico non epistemologico fa smarrire coscienza e conoscenza; non
rimane per gli infelici altro che il risucchio nel gorgo di un
apprendimento meramente competenziale. Non è così infrequente che il
ragazzo sia indotto a dimenticare il se stesso più autentico per
apprendere senz’altro la verità senza soggetto delle discipline senza
discepolo.
“Sbocciare da se stessi”
Conoscere è dunque
imparar come acquisire uno spazio di inerenza all’essere che non sta ma
cui siamo (Semerari), divenir consapevoli di un essere-al-mondo,
partecipare di ciò senza di cui l’essere non è più tale, ciò che è
necessario affinché l’essere viva. Significa abitare la terra natìa, la
casa in cui si vive, la lingua in cui si risiede; ma anche essere
aperti a ciò che schiude al trascendimento dallo stato, alla pienezza
senza fine di un senso intenzionale. Conoscere é l’heideggeriano
“sbocciare da se stessi” a un mondo che non è solo un prodotto
dell’attività rappresentativa dell’io, ma che tale non sarebbe se l’io
non fosse. E’ conoscenza essenziale quel sapere che avvicina il
soggetto all”argomento fino al rendersi presente di quel che è remoto,
quel che porta all’apparire, al generarsi in evidenza autentica
dell’ignoto entro l’ambito di ciò che è noto.
La scuola può/deve
offrire un orizzonte storico affidabile almeno quanto incerto, per
l’intelligenza dell’essere: offrire dunque occasioni al formarsi di
conoscenze e saperi (costellazioni di conoscenza) essenziali in quanto
lasciano essere anziché trasmettere statuti di ciò che la cultura dà
per essente. Se il conoscere che si impara a scuola non fosse in primo
luogo interpretativo dell’essenziale, del gratuito sarebbe chiacchiera,
introduzione al culto del Nulla. Edith Stein ci ha indicato come la
conoscenza vera non sia mai uno sterile, industriale prodotto
automatico di operazioni tecniche ma qualcosa di imprevedibile, di
mutevole, di vivo, di fecondo, di generativo di sapere ulteriore.
Le
discipline sono atti di costruzioni del sapere di lungo respiro;
portano a pensare le cose non solo come sono oggi ma come sono state e
probabilmente muteranno, indipendentemente dal loro utilizzo immediato
e prossimo venturo. Direi che laddove la competenza (parente impoverita
della c.) risiede nella cultura dell’ “utile”, l’essenziale abiti in
quella della “fondazione”; dove la competenza é “risaputa”, la
conoscenza è sapere in-finitamente in atto.
Insegnare a conoscere
Gli
ultimi cent’anni di pedagogia e soprattutto di didattica “di servizio”
hanno sopra tutto parlato di allievo e di apprendimento. E’ stato anche
un bene ma ora dobbiamo ricominciare a parlare del Maestro e
dell’insegnamento, del volto e del messaggio di chi in modo più maturo
dell’adolescente si è confrontato con la conoscenza. Insegnare a
conoscere avendo in vista non il successo ma la verità è invitare a
pensare le cose non solo come sono oggi ma come sono state e
probabilmente muteranno, indipendentemente dal loro utilizzo immediato
e prossimo venturo; pensare il mondo di quando chi oggi ha quindici
anni ne avrà trenta. Le conoscenze essenziali –saperi di libertà-
valorizzano le diversità e le differenze, le competenze –quando anche
fossero apprese- darebbero a tutti qualcosa che é estraneo a ciascuno.
La
scuola-di-chi-insegna –sempre, ma specialmente quando si rivolge alla
“età di passaggio” per eccellenza- non deve perdere di vista il fine
verso cui tendere, al-trimenti rischia di essere strumento di
riduzione, frantumazione e asservimento dell’intelligenza umana. Se l'
attenzione è rivolta ad un soggetto intero che vive ed esperisce in un
ambiente culturale, allora l'intero del soggetto in iper-evoluzione va
collegato in modo attivo all'intero della cul-tura. Certo la cultura
(la conoscenza dell’umanità) è tutt'altro che unitaria; proprio per
questo vanno ricercate trame, non analitiche, nè specialistiche, che
sappiano connettere le varie declinazioni del conoscere. Ma il soggetto
deve acquisirne un’immagine unitaria e questo è possibile solo
ri-creandone le relazioni, comunicando e non solo esponendo. Sarà di
grande aiuto per un intero che si possa volgersi autenticamente
all’Intero.
G.G.W Hegel Fenomenologia dello spirito (1806/7) ora in La Nuova Italia, Scandicci, 1974
E.
Husserl, Idee per una fenomenologia pura e una filosofia
fenomenologica, vol. I e vol. II, Nuova edizione a cura di Vincenzo
Costa, Introduzione di Elio Franzini, Biblioteca Einaudi, Torino 2002
G. Gentile (1913) Sommario di pedagogia come scienza filosofica Le lettere, Firenze, 2005
M. Heidegger (1926) Essere e tempo Longanesi 1980
P. Bertolini L'esistere pedagogico La Nuova Italia, Firenze, 1988
I.Mancini Tornino i volti . Marietti, Genova, 1989
Gabriele Boselli, Non-pensiero. Scenari e volti per un’educazione al pensare venturo, Erickson, Trento, 2007
Conni-De Monticelli, Ontologia del nuovo, Bruno Mondadori, Milano, 2008
La rivista Encyclopaideia, CLUEB, Bologna e il sito omonimo
Il sito Paedagogica
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