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Interpretazione di alcuni concetti ricorrenti nella parola e nella chiacchiera sulle scuole

Per gentile concessione di Gabriele Boselli


Il caso del termine "competenza" è il più clamoroso: la parola è dilatata dai confini che le sarebbero propri fino a comprendere praticamente la totalità di quanto a scuola si cerca di ottenere: non solo competenza, ma anche la capacità di conscere, di rapprentare la totalità dei fenomeni e di intervenirvi. Ma non è il solo: molte parole stanno in libertà e la cosa in fondo mi piace anche perchè, poi, ciascuno ha il dirittto di considerare errata l'interpretazione altrui.
Nella fortunata assenza di un’interpretazione dominante, nella preziosa congiuntura aperta dall’ambiguità delle parole, il lessico non va solo ricostruito filologicamente, ma costituito. Poiché non abbiamo accesso al mondo ma alla nostra plurintenzionata coscienza dello stesso (è legitttimo credere solo a quel che si vede, ma si finisce per vedere molto poco e molto male), si tratta di costruire con le parole un’immagine di collegamento stabile tra il mondo degli eventi personalmente vissuto, quello più diffusamente riconosciuto e la rappresentazine scientifica dei fenomeni. Senza una costituzione trascendentale e autoevidenziante del mondo e della sua cultura c’è dalle nostre parti solo psicologismo o burodidattica.
Redigere un lessico è dare forma alle strutture ideali del mondo verso cui si è in-tesi a partire dalla trasparente coscienza del mondo intenzionato. La costituzione verbale non è solo uno statuto; è anche e soprattutto un’indagine in quanto pone o riconfigura criticamente, creativamente e continuamente antiche e nuove questioni.
Un’avvertenza: essendo stato scritto in fretta, c’è qualche errore; peraltro si può utilizzare questo lessico, ove s’intenda ricevere largo consenso, solo sostenendo il contrario di ciò che sta scritto.


Alfabetizzazione

Uno dei termini maggiormente prostituiti nella “civiltà” della chiacchiera elettronica, del virtuale e dell’immagine trasmessa dalle catene di montaggio del non-pensiero. L’essenza di questa sub-civiltà è invece la dealfabetizzazione. Oggi si privilegia l’alfabetizzazione televisiva e “postalfabetica” in un trend generale contrassegnato da culto dei telefonini, assiologia da televisore, astio per le biblioteche e indifferenza varso i libri.
Per me, se Zenith e Nadir indicano gli estremi riferimenti del mondo fisico, ALFA e OMEGA ne marcano i termini culturali. Come non vi é nulla oltre lo Zenith, né altro al di sotto di Nadir, non vi é cultura (esperienza vista da una distanza) prima di ALFA, né oltre OMEGA, le lettere di confine della scrittura.


Conoscenza e competenza

La tavola contemporanea dei neovalori di successo privilegia massicciamente la competenza sull’attività del conoscere, poiché la prima è visibile, ostensibile, valutabile.
Io privilegerei il conoscere sul divenire competenti. Divenire competenti può essere una finalità valida per l’istruzione professionale o per i masters post-universitari, non per la scuola di base e per i licei. In questi ultimi ordini di scuola quel che conta è l’atto puro del conoscere. Ove conoscere è per me acquisire uno spazio di inerenza all’essere, partecipare di ciò senza di cui l’essere non è più tale, ciò che è necessario affinché l’essere viva. Significa abitare la terra natìa, la casa in cui si sta, la lingua in cui si risiede; ma anche essere aperti a ciò che schiude al trascendimento dallo stato, apre alla pienezza di un senso intenzionale. Il termine conoscere si oppone intrinsecamente a ciò che non appartiene al soggetto dell’essere, a ciò che aliena, che demolisce il proprio abitare fisicamente e culturalmente la terra, ciò che blocca il distendersi intenzionale del soggetto o –pedagogicamente- ne canalizza gli itinerari di autoeducazione Conoscere é l’heideggeriano “sbocciare da se stesso”. E’ conoscenza essenziale quel sapere che avvicina il soggetto all”argomento fino al rendersi presente di quel che è remoto, quel che porta all’apparire, al manifestarsi dell’ignoto entro l’ambito di ciò che è noto.
Conoscere è far agire il sapere che apre, lascia che gli enti e gli eventi cognitivi accadano senza irretirli in tassonomie,è creare reti non vincolanti di conoscenza.
Conoscere è approssimarsi all’identità profonda (trascendentale) di soggetto oggetto, far cogliere al primo un’identità originalmente ignota a lui stesso e che non può scoprire senza attraversare la foresta della cultura, senza aver passato i campi dell’esperienza scientifica e poetica del mondo. La conoscenza non è solo dell’evidenza; nasce anzi –insegna Socrate- dal superamento dell’evidenza, da uno sforzo, che nasce dal profondo, di guardare alto e largo; e lontano, e gratuitamente.
Da Platone a Kant, a Husserl, ad Heidegger, a Gentile la conoscenza è dell’essenziale, dei princìpi, di ciò che, dentro la parola e fuori dalla chiacchiera, riduce il superfluo delle parvenze e apre il soggetto a rappresentarsi originalmente (ma anche adeguatamente) il mondo. La scuola può/deve offrire un orizzonte storico per l’intelligenza dell’essere: offrire dunque conoscenze e saperi (costellazioni di conoscenza) essenziali in quanto lasciano essere anziché trasmettere manuali operativi di ciò che la cultura dà per importante. Se la conoscenza non è dell’essenziale o del gratuito o –direbbe Pomi- dell’inedito- è propaganda, ideologia liberista e dunque illiberale del Mercato, introduzione al culto del Nulla.
Edith Stein ci ha indicato come la conoscenza non sia mai uno sterile, industriale prodotto automatico di operazioni tecniche ma qualcosa di imprevedibile, di vivo, di fecondo, di generativo di sapere ulteriore. Direi che laddove la competenza risiede nella cultura dell “utile”, l’essenziale abiti in quella della “fondazione” ( 1); dove la competenza é “saputa” la conoscenza è, gentilianamente, sapere in atto.
Conoscere è tenere in attività il nucleo generativo di regioni gnoseologiche, é trasparenza delle relazioni tutta la gamma possibile dello sviluppo democratico del sapere stesso.
Le conoscenze sono atti di costruzioni del sapere di lungo respiro; portano a pensare le cose non solo come sono oggi ma come sono state e probabilmente muteranno, indipendentemente dal loro utilizzo immediato e prossimo venturo. Essere (solo) competenti è il sapere del servo: conoscere è valorizzare l’inedito, le diversità e le differenze; essere competenti è sapersene servire o metterle al servizio dei nostri padroni.
La conoscenza é destinata a crescere, la competenza ad estinguersi, a “obsolescere”. La conoscenza –saperi di ciascuno- a far crescere, la competenza -saperi di categorie professionali- a figurare bene negli schermi dei sistemi di valutazione (Vedi progetto PISA).
La competenza é riduzionistica (riduce la complessità); la conoscenza trans-formativa e generativa (rispetta le condizioni dello sviluppo potenziale).

Cura

Farsi carico é operazione che -nella tradizione mediterranea della carità- spesso distrugge sia il beneficato (che diventa più dipendente dello stretto necessario) sia il benefattore, il quale deve negare se stesso nella presunzione di essere utile all'altro secondo proprie, indiscusse concettualizazioni di ciò che é bene.
Diverso é l'accogliere come "prendersi cura": é offerta di situazioni in cui ciascuno possa prendersi cura di sé, invito rivolto a ciascuno a trovare una via personale per porsi in cammino sulla propria strada. Il fine non é la normalizzazione dei bisogni e dell'esistenza dell'altro ma l'esplicitazione all'altro di un interrogativo più ampio sulle condizioni e sul senso della di lui esistenza. Non lo si vuol "guarire" dalla differenza ma si cerca di aiutarlo a trovare il senso iscritto nel nucleo individuale della sua personalità (Mortari).
In "Essere e tempo" Heidegger addita nella "cura" una relazione costitutiva dell'essere come esserci, una inerenza flessibilmente fondativa del proprio come dell' altrui arco delle possibilità situate e situanti di essere in quanto essere-a, qui, ora, con me/noi, in questo frammento di storia, in un reciproco altrove. Accogliere é offrire plurali indicazioni di senso, intendendosi per senso "ciò in cui la comprensibilità della cosa si mantiene senza venire alla luce esplicitamente e tematicamente. Senso significa ciò rispetto a cui ha luogo il progetto primario, ciò in base a cui qualcosa può esser compreso nella sua possibilità, così com'é"
Aver cura é riconoscersi e riconoscere "essendo-già-in", é l' "esser-presso", non il coprente e tranquillante e doppiamente vincolante "esser-per" dell'ideologia buonista.
In una scuola "accogliere" prevede per il docente innanzitutto l'accogliersi, l'approvarsi, il riconoscersi come soggetto, come co-autore di un campo di eventi, di una storia improgrammabile. E' poi ricevere l'ospite e il compagno, l'offrirgli la propria asimmetrica compagnia per un'ampia frazione di esistenza. Non é tanto (ma anche) rito, paroline consolatorie, sorrisi, tolleranza del giochino portato da casa; tantomeno, da scuola a scuola, passaggio di schedature burocratiche. E' offerta di un campo di avventure fisicamente e moralmente sicuro ma non protetto dal rischio cognitivo e affettivo e dal nuovo, da limiti pre-costituiti.


Curriculum (non curricolo, volgare)

Curriculum non é esposizione lunga una vita di un pre-pensato ma sentiero che si apre su paesaggi sempre nuovi perchè evocati dal pensiero del viandante, discorso che é animato da tensori interni ed esterni e si attua come percorso indagante, consapevole della prossimità a molteplici radici degli eventi, allocabili nella pluralità degli spazi e dei tempi, che ci sono ignote. Un curriculum é essenzialmente un vettore che attraverso porte talora semichiuse e proponendo sistemi simbolici unitari riprende il carattere organico e armonico ma sempre incompiuto del pensiero.

Discipline

La disciplina con cui abbiamo concretamente a che fare è l’incontro tra il sapere costituito e il modo in cui in ciascun soggetto si tiene in attività (o si spegne) il nucleo generativo di regioni gnoseologiche, il topos ove si riavviano i saperi consolidati, si allacciano relazioni con tutta la gamma possibile dello sviluppo del sapere stesso.
Le discipline potrebbero essere intese come atti del conoscere, atti di costruzioni del sapere di lungo respiro, sedimentazione di infiniti atti cognitivi avvenuti nella storia; portano a pensare le cose non solo come sono oggi ma come sono state e probabilmente muteranno, indipendentemente dal loro utilizzo immediato e prossimo venturo. Direi che laddove la competenza disciplinare (parente impoverita della conoscenza) risiede disciplinarmente nella cultura dell’ “utile” riconosciuto, l’essenziale delle discipline abiti in quella della “fondazione”; dove la competenza é “saputa” , la conoscenza è sapere in-finitamente in atto.
Essere (solo) competenti in una disciplina è saper riscaldare la polpetta surgelata Cremonini, insaporirla (si fa per dire) con liofilizzati Knorr e venderla bene; conoscere una disciplina è creare un piatto nuovo.


Formazione

Termine nobile recentemente oggetto di uso perverso da parte dei “formatori aziendali” e oggi prevalentemente inteso come modellamento del soggetto secondo le esigenze dell’ambiente di lavoro.
Il pensiero antico e recentemente quello postmoderno (ermeneutica, teoria della complessità) indicano invece nella forma quel manifestarsi della cosa o del soggetto che più esprime la sua identità intenzionale profonda. In quanto tale, forma si con-trappone a "parvenza", "maschera" o "abito", ovvero a quegli strati dell'apparire che, dissimulando il volto del soggetto, lo di-fen-dono dall'aggressione ambientale e gli assicurano la soprav-vivenza o magari un alto indice di gradimento e di successo. "Forma" rimanda all' Intero, allo stare insieme di frazioni della to-talità non semplicemente giustapposte ma organicamente collegate a far vivere un organismo che le trascende e senza cui esse non sarebbero nulla. Come tale, la forma sopporta con sof-fe-renza, fino ad esprimersi con la schizofrenia, il maschera-mento, ovvero la sostituzione di quel che il soggetto é nella sua complessità con quel che le esigenze della sopravvivenza lo fanno essere nella vita professionale.
Formare é un verbo che appartiene da sempre alla storia della pedagogia, del sapere delle scuole. Dai grandi pedagogisti é stato costantemente inteso non come il far prendere ad altri la forma più utile a chi controlla formandi e formatori ma come teo-ria/pratica del lasciare che cia-scuno trovi, nell'incontro, nel dia-logo o nello scontro con altri, la forma che più risponde alla sua iden-tità e meglio la esprime. Formare é dunque offrire indica-zioni per mettersi in via, non schemi per operare; é prospettare scenari, non prescrivere modelli; é additare un avvenire, non addestrare a un futuro-non-futuro (in quanto già program-mato).


Professione

Un falso mito di ascensione sociale sventolato agli occhi dei docenti e degli altri uomini di scuola o di altre istituzioni erroneamente ritenute in via di rottamazione. La macchian mediatica che si rivolge al largo pubblico privilegia valorialmente il termine "professionista" ritenendolo indicativo di individuo che possiede una competenza consacrata da ordini professionali e che gli permette di garantire buoni risultati in cambio di rimunerazioni che gli consentano un elevato tenore di vita, magari con belle case, belle auto, tante tipe da schianto. Anche diverse pubblicazioni destinate agli operatori scolastici, dopo aver sostituito la pedagogia con la teoria dell'organizzazione e Rousseau con Romei, propugnano la fede salvifica nel rampante dirigente scolastico-imprenditore e nell'insegnante in blazer. Alcuni (rari) dirigenti e qualche professore, non resistendo a tanto seduttivi miraggi, hanno pensato di rifarsi, se non una vita, almeno un’immagine come professionisti.

Postprogrammazione

Vicenda esistenziale, teoretica e didattica di un gruppo di insegnanti, dirigenti e ispettori formatisi nella lettura dei maestri dell’idealismo e in particolare della fenomenologia nonchè nel confronto diretto e mai interrotto con il campo delle esperienze scolastiche.
Nata dal rifiuto dei presupposti culturali e pedagogici della programmazione, “continentale”, erede non nostalgica della pedagogia italiana del Risorgimento e del Novecento, severa nell’articolazione epistemologica, esprime una componente marginale, “contadina”, “provinciale” dell’orientamento pedagogico della scuola italiana. Si considera parte del movimento fenomenologico mondiale (A.T.Tymeniecka, The wordl Phenomenology Institute) e italiano (P. Bertolini, Encyclopaideia).


Rete

Parola assai ricorrente nei media di massa ma, eccezionalmente, non priva di qualche portata utile. L’idea di rete è infatti una tra quelle di maggior successo ma anche una tra le più tese da contraddizioni, specularità, asimmetrie dei significati. Il minimo comune denominatore tra le varie accezioni di “rete” afferma solo l’idea di nesso, correlazione; per il resto c’é di tutto:rete si intende qualcosa cui ci si sorregge reciprocamente o ci s’impaccia vicendevolmente. Le reti ci salvano o ci dannano; ci proteggono dall’autoreferenzialità e ci inibiscono le più forti e magari innovative espressioni di originalità.
Un’etica di rete –ad esempio come latrice di solidarietà nella gestione e di sostegno alla comunicazione culturale e pedagogica tra le scuole- è peraltro l’unica che possa contrastare i due rischi concorrenti: da un lato la tendenza all’autarchia, a fare di ogni istituzione una piccola repubblica “superiorem non recognoscens”; dall’altro l’incremento della dipendenza dal sistema informale del potere e della comunicazione.
Il valore degli effetti della rete dipende dal punto di potere in cui si é collocati. In modo certo, la rete conviene solo a chi la tiene in mano, a chi la governa: è del tutto improbabile che il pesce abbia tanta forza da trascinare in acqua il pescatore. Di solito viene tirato su. Ma una rete locale può attenuare la dipendenza dalle iper-reti.


Ricerca

Nel tempo della derealizzazione e della pervasività dei prodotti della tecnologia dell'informazione, il riferimento delle masse e anche di molti operatori professionali non è ai fenomeni così come direttamente esperiti ma sempre più a quanto compare in un quadrante elettronico. Nella costruzione immaginaria collettiva chiamata “realtà” operano potentemente rappresentazioni “scientifiche” in cui l’organizzazione dei processi di reperimento dati e di significazione sono sempre più spostati verso la componente virtuale dell'uni-verso preso in considerazione.
Anche lo studio degli universi dell’istruzione è ormai promosso all'interno dei sintagmi concatenamenti obbligati) tecnologici e dunque dei fondamenti dell'etica utilitarista (è vero quel che conviene al decisore), delle metodologie di tipo oggettivistico e dei sistemi valutativi. In pedagogia come nelle altre scienze, la ricerca consiste sempre anche in un atto filosofico, etico e politico in cui l’orentamento è dato non dall’argomento ma dal soggetto che vi si volge ineluttabilmente secondo se stesso e secondo le tradizioni dello specifico tipo di ricerca. Può scegliere se configurare gli eventi in modo da adattare il soggetto al mondo e al suo non pensare e predicare in modo che vi si trovi comunque bene o se riassestare lo sguardo, assumersi il confronto con i fenomeni e gli schemi culturali, dotare il soggetto di capacità che non siano solo di adattamento e apprendimento, ma anche di distanziamento, di critica, di ripensamento radicale, di intervento.
In tale prospettiva occorrerebbe anche superare il poco genuinamente galileiano modello standard di ricerca “galileiana” in quanto matrice di alcuni atteggiamenti conformizzanti del ricercatore e accostarsi a scenari che recuperino la lezione epistemologica del Postmoderno.
Occorre ripercorrere le vie seguite nei millenni dal pensiero pedagogico e oggi interpretate dal movimento fenomenologico-ermeneutico: rispetto dei mondi vitali, consapevolezza ed esplicitazione della relatività di ogni “dato”, intersoggettività in luogo dell’oggettivismo, narrazione di come le cose divengano anziché ostensione di “come stanno”.
La quasi totalità dei monitoraggi non viene invero progettata in modo aperto a qualsiasi conclusione teoricamente possibile ma in vista di risultati predefiniti; serve ad alterare il campo dei fenomeni, movimentare l’autorappresentazione del personale, creare o confortare o indebolire movimenti di opinione esterni. In sintesi: ad amministrare le evidenze secondo convenienza. Laddove per evidenza intendo non l’apparire manifesto di un primum, di ciò che realmente è al di là di ogni dubbio (accesso negato, per dirla in linguaggio informatico), ma l’esito di rigorose operazioni costitutive messe in atto da un soggetto intuente e onestamente e trasparentemente interessato. La ragione amministrante che Heidegger individuava egemone nel nostro tempo non ha rispetto dell’evidenza costituita secondo rigore; la torce, la inventa, la omogeneizza fino a renderla buona per tutte tesi, sì che la tesi vincente sarà non la maggiormente relata alle evidenze genuine, ma la più massicciamente diffusa.


Ricerca fenomenologica

---Se gli atti di ricerca sono non “rispecchiamenti” a prescindere dalle persone degli operatori vanno intesi come testimonianze di vissuti dei particolari mondi vitali attraversati

---Scopo fondazionale ed effettivo delle azioni di ricerca sul campo delle esperienze di educazione e di istruzione sarà quello di conoscere i vissuti scolastici attraverso l’impiego delle forme dell’indagine fenomenologica, delle modalità morbide e agili della parola e del dialogo, dall’andamento non asimmetrico e oggettivistico ma intersoggettivo nelle relazioni costituenti la ricerca.

---Non intendo invitare alla resistenza all’indagine seria ma solo a quella strumentale, che cerca solo conferma a tesi precostituite. C’è nelle scuole desiderio di un libero e aschematico confrontarsi, di disvelare la propria identità e il proprio lavoro in modo rappresentativo dell’evidenza e coerente con il vissuto, non banale, autentico.




Bibliografia

Piero Bertolini (a cura di) Per un lessico di pedagogia fenomenologica, Erikson, Trento, 2006

Gabriele Boselli Non Pensiero. Scenari e volti per una educazione al pensare venturo, in uscita a novembre 2007 da Erikson, Trento

 01/10/2007

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