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Indagine - Che ne pensano gli insegnanti della scuola?

di Patrizia Appari

 

All’inizio di ogni anno scolastico i vari canali informativi, al fine di cavalcare la notizia, si preoccupano delle sorti della scuola italiana. Nel mese di settembre ogni mezzo di informazione riporta indagini, ricerche, rapporti condotti da enti illustri nei quali viene fotografato il sistema d’istruzione nel suo complesso o in alcuni dei settori ritenuti determinanti. L’apprensione intorno a questo importante aspetto si alimenta anche attraverso saggi ed articoli che regolarmente ribadiscono inadeguatezze in molti dei settori costitutivi il sistema d’istruzione (mancanza di fondi, manutenzione degli edifici, studenti, famiglie, risultati di apprendimento, formazione degli insegnanti, tecnologie, sicurezza).

Nel febbraio 2013 esce il libro di Norberto Bottani Requiem per la scuola? (Il Mulino, Bologna, 2013). L’autore, prendendo spunto dall’indagine PISA, offre un’analisi comparativa dei sistemi scolastici a livello internazionale, ponendo ai suoi lettori una domanda decisiva: a che cosa serve la scuola oggi?Le motivazioni che sottendono alla risposta sono inquietanti: la scuola statale è fallita. L’argomentazione è la seguente: essa manca di efficienza e di equità, si è dimostrata incapace di fare acquisire, a tutti e a ciascuno, le conoscenze e le competenze necessarie a migliorare la propria posizione sociale. L’accento è quindi posto sulla scuola democratica, la quale, avrebbe fallito uno dei suoi obiettivi: quello di democratizzare la società mediante l’innalzamento dei livelli di istruzione e la mobilità sociale. La scuola persegue un vecchio modello: la formazione di una identità nazionale, tuttavia non è più in grado di  riprodurre le élite dirigenziali, né di assicurare il consenso sociale, giacché gli aspetti di organizzazione del sociale,  oggi,  si riproducono al di fuori di essa. (1) Efficienza, equità, eccellenza, sono i parametri irrinunciabili ai quali Bottani ci riporta, ma non solo,  “imparare per imparare”, ”imparare a essere”, ”imparare a vivere” sono altri aspetti che la scuola dovrebbe coltivare per rispondere alla domanda “a che cosa serve la scuola” che comunque l’autore lascia aperta alla speculazione di altri autori che nello stesso momento si sono impegnati nella disquisizione intorno ai medesimi problemi.

Adolfo Scotto di Luzio ne La scuola che vorrei (Bruno Mondadori, Milano, 2013) afferma che la scuola di cultura, da identificare con la vecchia scuola liberale della tradizione umanistica è stata soppiantata dalla scuola democratica (di massa). In nome dell’accesso all’istruzione per tutti essa ha sostituito la memoria dello stato nazionale e della sua cultura, nella quale essa affondava le radici. Tali tutele non hanno più potuto, così, esserle di protezione, di difesa contro gli imperativi spietati della politica, dell'economia, del mercato del lavoro. Priva di un tale scudo la scuola democratica si è trovata indifesa: alla mercé della burocrazia ministeriale, delle famiglie, delle mode, delle logiche del privato. Ha perso la connotazione di luogo dove si insegnano delle cose, per acquistare quello di luogo dove si applicano le tecniche dell’insegnamento, una scuola autoreferenziale nella quale imperversano le metodologie.

Mario Giacomo Dutto in Acqua alle funi. Per una ripartenza della scuola italiana afferma che “La nostra scuola di tutti, quella incisa negli articoli della Costituzione, non appare né equa né efficace e un Paese non all’altezza della sua scuola tradisce il proprio futuro“. L’autore continua  asserendo che “… ripartire è ricordare che per ogni studente il tempo della scuola è irripetibile; non c’è il secondo tempo, né il girone di ritorno“. Per Dutto molte delle cause dell’odierna situazione della scuola italiana sono da ritrovare nell’autonomia scolastica.  Due, a suo parere, sono le ragioni dell’odierna crisi della scuola: la prima da attribuire ai tentativi di riforma rovinosi degli ultimi decenni, al punto tale da non dover più desiderare alcuna ulteriore riforma globale. La seconda ragione viene posta nella perdita del senso di fare scuola, sia tra gli insegnanti che tra gli studenti. “E’ ora di prendere atto della fine della parabola manageriale” che ha trasformato insegnanti e studenti in vittime di interventi burocratici e amministrativi. La soluzione ipotizzata dall’autore è praticabile: ripartire dalla soluzione dei problemi quotidiani che l’insegnante incontra in classe insieme ai suoi allievi. Ai saggi citati ne possiamo aggiungere altri:  Tutti in classe di Alex Corlazzoli (Einaudi, Torino, 2013) nel quale l’autore afferma :” Noi insegnanti dovremmo diventare educatori dell’affetto … “;  L’arte di insegnare di Isabella Milani  (Vallardi, Milano, 2013) dove si legge: “ La scuola deve essere - oggi - più seria che mai. Deve essere capace di  far star bene gli alunni, per diventare un'alternativa al mondo diseducativo nel quale viviamo, per "rieducare" i bambini e i ragazzi a impegnarsi, a studiare, a faticare”. E altri ancora.

Ecco, dunque, “i mali della scuola” (che per comodità del lettore sono stati evidenziati in neretto), tuttavia, dopo un’attenta lettura dei testi citati è sorta nella mente di chi scrive, spontanea, una riflessione: che cosa fa un’azienda, qualsiasi sia il servizio o il prodotto che offre, quando nasce, tra le sue mura, il sentore che esistano problemi perché il destinatario finale presenta rimostranze? Interroga coloro i quali sono direttamente coinvolti nella realizzazione del servizio o prodotto, per scoprire quali sono le cause che costoro ritengono motivi degli scarsi risultati, al fine di introdurre rimedi che possano migliorare detto servizio o prodotto? Il sistema scolastico italiano ha mai avviato un’indagine per sapere dagli insegnanti, quelli che tutti i giorni sono in classe, quali sono “i mali della scuola”, in modo tale da circoscriverne almeno uno e cominciare a porvi, con determinazione, rimedio?

Poiché a nostra memoria ciò non è mai accaduto, con gli indicatori forniti nei testi degli illustri esperti succitati abbiamo provato a costruire un questionario che non ha nessuna presunzione, se non quella di cercare di capire se gli aspetti critici della scuola italiana ai quali si è fatto menzione sono gli stessi percepiti ogni giorno da chi a scuola ci lavora. Dal mese di dicembre 2013 abbiamo sottoposto il questionario ad un campione casuale semplice scelto tra gli oltre diecimila iscritti al nostro sito. Abbiamo chiesto, fornendone un elenco ragionato, quali sono, a parere degli intervistati, gli obiettivi che la scuola italiana ha raggiunto; quali sono le cause della crisi, tanto discussa, che la scuola italiana sta vivendo; quali azioni, secondo i diretti interessati, migliorerebbero la scuola; quali sono gli aspetti che necessiterebbero di approfondimenti culturaliQuesti sono i risultati.

1. Nessuno degli obiettivi indicati, secondo gli intervistati, è stato completamente raggiunto (grafico 1). Quelli che si avvicinano maggiormente alla meta (con un punteggio scarso di 3 su una scala Likert di 5) sono, in ordine: integrazione (3,13), partecipazione, innalzamento del livello d’istruzione, insegnare a “imparare ad imparare”. Seguono con un punteggio intorno al 2,5 della scala Likert: la democratizzazione della società, l’equità, l’insegnare a “imparare a essere” e a “imparare a vivere”. Gli obiettivi non raggiunti, secondo gli intervistati, collocati nel punteggio da 2,5 a 2 della scala, sono: l’alfabetizzazione digitale dei docenti, la riproduzione dell’élite dirigenziale, l’efficienza e il consenso sociale (2,05).

2. Le cause che hanno portato la scuola alla crisi che sta vivendo sono state individuate: al primo posto (con un punteggio di 4,22 su una scala Likert di 5) nel vuoto e nella confusione di proposte; seguono: la mancanza di finanziamenti (4,18), la burocrazia ministeriale (4,15), le riforme degli ultimi decenni (4,08), l’incapacità di intervenire sul benessere di docenti e studenti (4,05). L’introduzione di tecnologie non supportate dalla formazione dei docenti (3,5). L’autonomia scolastica (con il 2,66) è stata identificata come la causa meno rilevante della crisi (grafico 2).

3. Le azioni che migliorerebbero la scuola, a parere degli intervistati, sono le seguenti: il rilancio dell’importanza sociale della professione docente (4,81), al secondo posto l’equiparazione degli stipendi ai livelli europei (4,64); a pari merito investimenti e risorse nella formazione continua dei docenti nelle aree disciplinari e nelle aree metodologiche (4,45); seguono con il 4,32 gli investimenti e risorse nella formazione continua dei docenti nelle aree tecnologiche; agli ultimi posti: modalità differenti di governo a livello d’istituto (3,79), cancellazione del precariato (3,54), organici regionali (3,07) (grafico 3).

4. Le aree di formazione riguardanti i docenti nelle quali gli intervistati riscontrano le maggiori carenze sono: le competenze operative - lavorare in gruppo, servirsi delle tecnologie, ecc. (3,94), le competenze deontologiche - instaurare rapporti collaborativi con gli adulti all’interno dell’istituto (3,59), le competenze relazionali: gestire la comunicazione, instaurare rapporti affettivi, ecc. (3,55) (grafico 4).

In parecchi casi gli intervistati discordano con le affermazioni degli esperti. L’integrazione, la partecipazione e l’innalzamento dei livelli d’istruzione posti ai primi posti della risposta A, sembrano indicare una buona strada verso l’equità. Anche se la burocrazia ministeriale compare al terzo posto tra le cause della crisi della scuola, le famiglie, le mode, le logiche del privato e l’autoreferenzialità vengono collocate agli ultimi posti. Nelle risposte B  l’autonomia scolastica non è percepita come causa del declino essendo stata collocata all’ultimo posto. Rilevante è la risposta relativa alle azioni di miglioramento, per la quale gli intervistati pongono al primo posto il rilancio dell’importanza sociale della professione docente, prima dell’equiparazione degli stipendi ai livelli europei e dove si evince la consapevolezza, al terzo posto, della necessità di investimenti e risorse nella formazione continua dei docenti, in ordine, nelle aree disciplinari, metodologiche e tecnologiche.

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(1) Questa sensazione che la democrazia sia ormai una tecnica che gira a vuoto, celebrando un unico valore davvero riconoscibile, cioè se stessa. Non so sia una mia perversione, o un sentire comune a molti. Ma certo si ha così spesso il dubbio che perfino i principi di libertà, uguaglianza, solidarietà che fondarono l’idea della democrazia siano per così scivolati sullo sfondo, e che l’unico valore effettivo della democrazia sia la democrazia”.

A. Baricco, I barbari. Saggio sulla mutazione

 

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