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Riconoscere le invisibili emozioni del docente
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di Cristiana La Capria
L’anno scorso un mio alunno di quindici anni, abituato a rivolgersi a me alla seconda persona singolare perché nella scuola sono l’unica (oltre a lui) a tifare per il Napoli, mi ferma nel corridoio e mi chiede: “Ma tu cosa provi? Cioè, come stai? Quando siamo in classe non ce lo dici mai …”. Come sto io? In effetti non lo dico e non me lo dico mai. E come stiamo noi? Cosa e quanto sentiamo? proviamo? Dove stanno andando a finire le emozioni dei docenti?
La pressione della crisi finanziaria spinge il docente a un continuo confronto con i numeri, a contare e ricontare per fare rientrare in un budget sempre più minuscolo le spese scolastiche. E poi il susseguirsi costante di riforme spinge il docente a formulare schede, caselle, format per aggiornare la valutazione, la didattica, le competenze, le programmazioni. E così, preso dall’urgenza di catturare in forma composta, chiara, scandita il sapere, le regole, le tecniche, le metodologie, si lascia sfuggire ciò che non è scannerizzabile, né quantificabile, né visibile: le emozioni provate a scuola. O anche fuori da essa.
Se negli ultimi anni il lavoro dei docenti si è maggiormente focalizzato sull’analisi dei metodi e delle tecniche adeguate all’attivarsi delle competenze, adesso sarebbe opportuno un passaggio di attenzione che vada verso un’analisi delle proprie emozioni. Perché lo sviluppo delle competenze può avviarsi se si istituisce una comunicazione efficace e delle relazioni significative. E affinché queste possano avverarsi risulta indispensabile conoscere e riconoscere le emozioni che entrano in circolo nei rapporti a scuola. Quindi le domande che ci poniamo non sono: come si fa? come dovrebbe essere? Ma: cosa sento, come mi relaziono? Quindi un ripartire da sé.
La raccolta di pensieri e riflessioni sul personale codice emotivo che anima la professione di ciascun docente può essere una partenza salutare e necessaria. La messa in luce del sentire - di volta in volta declinato in direzione dei vari soggetti dell’educare scolastico (alunni, colleghi, genitori) – porterebbe poi a problematizzare il ruolo del docente che è sempre in bilico tra il mondo fuori e dentro la scuola. L’insegnare è una delle poche professioni che non consente di uscire dal ruolo perché si è docenti anche fuori dall’aula e le emozioni provate durano ben oltre il tempo scolastico.
Emozioni connesse alla rabbia e all’aggressività, alla gioia e all’invidia sbocciano regolarmente nel corso dell’esperienza professionale del docente. Invece di ingabbiarle e togliere loro il respiro in nome del controllo, dell’equilibro e della disciplina, sarebbe opportuno lasciarle correre ed osservarle nel loro fluire. Comprenderle, affermarle, accoglierle è la prima apertura di sé ed è una forma di riconoscimento e anche di riconoscenza verso il proprio sentire.
Una volta fatte emergere le emozioni provate si cerca poi di problematizzare la questione del ruolo professionale: quanto contano le emozioni provate nella decisione di agire in un certo modo? In quale proporzione io, docente, faccio coesistere i sentimenti con le azioni professionali previste? Quale conflitto, se esso si dà, può esserci tra la dimensione del sentire e del fare? Sarebbe buono, cioè, sollevare le emozioni provate in specifici contesti di relazione scolastici per riconoscerli, vale a dire per osservarli di nuovo e soprattutto per ammetterli dentro al campo di azione e di intervento educativo. Ad esempio quali sono i confini posti dal ruolo del docente nel rapporto con gli alunni? Dove finisce il limite del professionale e inizia quello personale? Quali sentimenti taciuti – positivi o negativi che siano – orientano il comportamento del docente nelle relazioni con i propri alunni?
Quali emozioni, invece, proviamo nelle relazioni con le colleghe/i?
Coordinarsi dentro l’intreccio di relazioni tra colleghe/i di scuola non è facile. Tuttavia risulta una necessità primaria se si vogliono creare contesti di collaborazione efficaci e ambienti di apprendimento adeguati. Quali sono le situazioni di conflitto che si presentano più facilmente? Su quale piano esse si dispiegano? Didattico (abbiamo modi troppo diversi di concepire l'insegnamento)? Relazionale (i colleghi non mi sono simpatici)? Culturale (abbiamo valori e stili di vita troppo diversi)? Inoltre il delicato equilibrio relazionale del docente dipende ampiamente dal tipo di comunicazione instaurato anche con i genitori. Il ruolo docente spesso viene confuso con il ruolo del genitore e si creano accavallamenti pericolosi. La comunicazione risulta quindi spesso difficile e la cooperazione tra le parti può diventare un miraggio.
Quali le maggiori problematiche nel rapporto con i genitori? E in che modo esprimiamo noi docenti le nostre emozioni nella relazione con loro?
Infine, non sarebbe poi così male rivedere anche le emozioni che il docente prova nel rapporto con la scuola in sé: come istituzione, come luogo, come tempo, come azione, come esperienza. Come vediamo e come vorremmo vedere la scuola? Cosa sentiamo nel viverla e nel farla? Quali emozioni scattano quando di essa parliamo e raccontiamo? Quanto piacere si prova – ancora - nello stare a scuola? Il recupero dell’originaria dimensione del sentire significa il recupero della fondamentale dimensione del conoscere e del sapere. Recuperare senza incorporare nel dovere e nella regola quell’emozione che ci fa vibrare ogni giorno come docenti. ma assistere al suo farsi come aspetto imprescindibile di noi. E non dimentichiamo: le emozioni sono invisibili e più restano trasparenti al nostro sguardo, più sono potenti.
Ebbene, sì.
Ciclo di seminari: "Ripartire da sé: il volto emotivo della scuola" a partire dal 16 gennaio 2013