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Il rospo

[LaboratorioFormazione]

di Hans Christian Andersen – 1843

 

Il pozzo era profondo, quindi la corda era lunga e la carrucola girava a fatica quando bisognava sollevare il secchio pieno d'acqua fino oltre il bordo del pozzo. Il sole non riusciva mai a specchiarsi nell'acqua, sebbene questa fosse trasparente, ma fin dove riusciva a brillare cresceva il verde tra le pietre.
Al pozzo abitava una famiglia di rospi, emigrati, in realtà giunti lì a capofitto con una vecchia madre rospo che ancora viveva; le verdi rane che vi abitavano da moltissimo tempo e nuotavano nell'acqua li riconobbero come cugini, ma li considerarono soltanto ospiti venuti a passare le acque, mentre loro avevano tutta l'intenzione di rimanere lì: vivevano molto meglio all'asciutto, come chiamavano quelle pietre bagnate.

Mamma rana una volta aveva viaggiato, si era trovata nel secchio che veniva tirato su, ma c'era troppa luce per lei e le aveva causato una lesione agli occhi; fortunatamente riuscì a saltar fuori dal secchio, cadde in acqua con un tonfo terribile e rimase a letto per tre giorni con il mal di schiena. Non sapeva raccontare molto del mondo che c'era fuori, ma sia lei che tutti gli altri sapevano che il pozzo non era tutto il mondo. Mamma rospo avrebbe potuto raccontare molto di più, ma non rispondeva mai quando le veniva chiesto qualcosa, e così non le si chiedeva mai nulla.
«È grassa, brutta e tozza!» dicevano le giovani rane verdi. «I suoi piccoli diventeranno altrettanto grassi!»
«È probabile!» rispondeva mamma rospo «ma uno di loro ha una gemma preziosa nella testa, o forse ce l'ho io.»

Le verdi rane ascoltarono e spalancarono gli occhi, ma dato che a loro la cosa non piaceva, fecero le smorfie e tornarono sul fondo. I giovani rospi invece tesero la zampette di dietro con grande fierezza. Ciascuno di loro credeva di avere la gemma preziosa; e così tennero per un po' la testa immobile, ma alla fine chiesero di che cosa dovevano essere fieri e che cosa fosse in realtà una tale gemma.

«È qualcosa di splendido e di prezioso!» disse mamma rospo. «Ma io non posso descrivetelo, è qualcosa che dà piacere a chi la possiede e fa rabbia agli altri, ma non chiedete, io non rispondo.»
«Io non ho la gemma preziosa» esclamò il rospo più piccolo, che era tanto brutto. «Perché dovrei avere io una tale bellezza? Se poi questa fa arrabbiare gli altri, come farei a esserne felice? No, io desidero solo poter arrivare una volta in cima al pozzo a guardare fuori; deve essere bello!»
«È meglio che resti dove sei!» disse la vecchia. «Questo posto lo conosci ormai, sai com'è! Stai attento al secchio: quello ti schiaccia. E se anche riesci a entrarci, puoi cadérne fuori male, non tutti cadono bene come me, che ho conservato le membra intatte e anche tutte le uova.»
«Cra!» disse il piccolo, e questo corrisponde al nostro "Ahimè!".

Il piccolo rospo aveva una gran voglia di uscire sull'orlo del pozzo, di guardare fuori, sentiva una specie di nostalgia per il verde che c'era lassù: così quando il mattino dopo per caso il secchio pieno d'acqua si fermò un attimo davanti alla pietra dove si trovava lui, si emozionò tanto che saltò dentro nel secchio pieno e cadde in fondo all'acqua che, una volta tirata su, venne versata.
«Uh, che orrore!» gridò il garzone che lo vide. «È la cosa più schifosa che abbia mai visto» e gli diede un calcio con lo zoccolo e il rospo rischiò di rimanere storpio, ma riuscì a scamparla rifugiandosi tra le alte ortiche. Vide gli steli, uno vicino all'altro, e guardò anche in su: il sole brillava tra le foglie trasparenti, e lui provò la stessa sensazione che proviamo noi uomini quando improvvisamente ci troviamo in un grande bosco dove il sole brilla tra i rami e le foglie.
"Qui è molto più bello che giù nel pozzo! Qui si può avere voglia di rimanere per tutta la vita!" esclamò il piccolo rospo. Rimase lì un'ora, forse due. "Che cosa ci sarà là fuori? Se sono arrivato fin qui, devo guardare oltre" così strisciò più in fretta che potè e uscì sulla strada, dove il sole brillava e dove la polvere lo ricoprì, mentre attraversava la via.

"Qui sì che ci si trova all'asciutto!" commentò il rospo "si sta fin troppo bene, ho un solletico!"
Arrivò al fosso dove crescevano i non-ti-scordar-di-me e le spiree, c'erano siepi di sambuco e di biancospino, cresceva il convolvolo arrampicandosi sulle piante; c'erano tanti colori, volava anche una farfalla, ma il rospo credette che quello fosse un fiore alzatosi dallo stelo per vedere meglio il mondo, e sarebbe stato così naturale!

"Se solo potessi essere veloce come lei!" pensò il rospo. "Cra! Cra! che bellezza!"
Rimase otto giorni e otto notti vicino al fosso e non gli mancava certo il cibo. Il nono giorno pensò: "Avanti!", ma che cosa si poteva trovare di più bello? Forse una rospetta o qualche rana verde! L'ultima notte gli era parso di sentire, col vento, come un suono di parenti nelle vicinanze.
"Che bello vivere! Uscire dal pozzo, stare tra le ortiche strisciare lungo la strada impolverata e riposarsi vicino al fosso! Ma avanti! Cerchiamo di trovare una rana o una rospetta, non si può farne a meno, la natura da sola non è abbastanza!" E così ricominciò a viaggiare.

Arrivò in un campo vicino a un grande stagno circondato di salici e cercò lì dentro.
«Forse qui è troppo umido per lei?» chiesero le rane «ma lei è benvenuto. Lei è un signor rospo o una signora? Comunque non importa, è benvenuto ugualmente.»

Così venne invitato al concerto della sera, un concerto di famiglia: grande entusiasmo e vocine flebili! noi conosciamo bene queste cose. Non c'era niente da mangiare, solo bibite a volontà, tutto lo stagno, se si voleva.

"Proseguiamo nel viaggio!" si disse il piccolo rospo, sentiva sempre il bisogno di qualcosa di meglio.
Vide le stelle che brillavano, grandi e luminose, vide la luce della luna nuova, vide il sole sorgere sempre più alto.

"Io mi trovo ancora in un pozzo, in un pozzo più grande; devo andare ancora più su! Sono così inquieto e ho una tale nostalgia!" E quando la luna divenne piena, il povero animale pensò: "È forse quello il secchio che viene calato e nel quale io devo saltare per arrivare più in alto? O è forse il sole il grande secchio? Com'è grande, com'è pieno di raggi, come ci contiene tutti! Non devo perdere l'occasione! Come brilla sulla mia testa! Non credo che la gemma preziosa possa brillare di più! Ma io non ce l'ho e non piango certo per questo; no, devo andare più su nel bagliore e nella gioia! Ho una certezza, e pure una paura, è diffìcile fare un passo simile, ma bisogna! Avanti, avanti per la strada maestra!". E si rimise a camminare come può fare un animale strisciante e giunse sulla strada dove abitavano gli uomini; c'erano giardini pieni di fiori e orti di cavoli, lui si riposò vicino a un orto di cavoli.

"Oh, quante strane creature che non ho mai visto! E come è grande e benedetto il mondo! Ma uno naturalmente deve guardarsi intorno, non può rimanere seduto sempre in un posto" e così saltò dentro l'orto di cavoli. "Com'è verde! Com'è bello!"

«Lo so!» disse un bruco che stava su una foglia. «La mia foglia è la più grande qui. Nasconde mezzo mondo, ma ne posso fare a meno.»

«Glo, glo!» si sentì: arrivavano le galline, saltellando. La prima che sopraggiunse era presbite, vide il bruco su quella foglia arricciata e lo beccò, così quello cadde a terra, cominciando a contorcersi per la rabbia. La gallina allora prima guardò con un occhio, poi con l'altro perché non capiva che cosa fosse tutto quel contorcersi.

"Non lo fa certo per compiacere!" pensò la gallina e sollevò la testa per beccarlo. Il rospo si spaventò moltissimo e le si mise proprio davanti.

"Ah, ha le truppe ausiliarie!" si disse quella "guarda che tipo!" e se ne andò. "Non mi interessa proprio questo bocconcino verde che mi fa solo solletico nel collo." Le altre galline erano della stessa opinione, così se ne andarono.

«Mi sono salvato con le mie contorsioni!» disse il bruco. «È un bene avere presenza di spirito, ma la cosa più diffìcile ora è ritornare sulla mia foglia di cavolo. Dov'è?»


Arrivò il rospetto e gli espresse la sua simpatia. Era felice che la sua bruttezza avesse spaventato le galline.

«Che cosa dice?» chiese il bruco. «Io mi sono salvato da solo. Lei è molto brutto! E ora posso ritornare a casa mia? Sento odore di cavolo, ora so dov'è la mia foglia. Non c'è niente di più bello che la propria casa. Ma io devo andare più su!»

«Sì, più in su!» ripetè il piccolo rospo. «Più in su! Sente proprio come me! Ma non è di buon umore oggi; forse sarà per lo spavento. Tutti vogliamo andare più in su!» e guardò in alto più che potè.
La cicogna si trovava nel nido sul tetto della casa del contadino, gloterava e anche mamma cicogna gloterava.

"Come abitano in alto!" pensò il rospo. "Felice chi può arrivare così in alto!" Nella casa del contadino abitavano due studenti, uno era poeta, l'altro scienziato, uno cantava e scriveva pieno di gioia di tutte le cose che Dio ha creato e che si rispecchiavano nel suo cuore, cantava in modo breve e chiaro e in versi armoniosi; l'altro invece si impossessava della cosa in sé, l'apriva quando era necessario. Considerava l'opera del Signore come un grande calcolo, sottraeva, moltiplicava, voleva conoscere tutto di dentro e di fuori e parlarne con intelligenza; in realtà era pura intelligenza, parlava con gioia e conosceva tutto. Entrambi erano due bravi giovani.

«Guarda, c'è un ottimo esemplare di rospo!» disse lo scienziato «dovrei metterlo sotto spirito.»

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«Ne hai già due!» disse il poeta. «Lascia che si diverta in pace!»
«Ma è così deliziosamente brutto!» disse l'altro.

«Già, se potessimo trovargli la gemma preziosa nella testa» disse il poeta «allora vorrei essere presente quando lo squarcerai!»

«La gemma preziosa!» rispose l'altro. «Conosci bene, tu, la storia naturale!»
«Non c'è forse qualcosa di meraviglioso in questa tradizione popolare, nell'idea che il rospo, l'animale più brutto in assoluto, spesso nasconda nella testa una preziosissima gemma? Non succede lo stesso anche con gli uomini? E che pietra preziosa aveva Esopo, e poi Socrate!»
Il rospo non sentì altro, ma non capì neppure la metà di quel discorso. I due amici se ne andarono e lui riuscì a non finire sotto spirito.

"Hanno anche parlato della gemma preziosa!" disse il rospo. "Per fortuna non ce l'ho, altrimenti avrei avuto dei problemi!"

Intanto si gloterava sul tetto della casa dei contadini, papà cicogna teneva un discorso alla famiglia e guardava storto i due giovani nell'orto dei cavoli.

«L'uomo è la creatura più presuntuosa!» esclamava. «Senti come muovono il becco! E in realtà non sanno nemmeno fare un verso giusto. Si vantano della loro capacità di parlare, della loro lingua! È proprio una bella lingua: se noi viaggiamo un solo giorno la sentiamo parlare in modo incomprensibile: uno non capisce l'altro. La nostra lingua invece la parliamo su tutta la terra, sia in Danimarca che in Egitto. E poi gli uomini non sanno neppure volare. Prendono velocità con un'invenzione che chiamano "ferrovia" ma spesso si rompono anche il collo. Mi vengono i brividi nel becco quando ci penso; il mondo potrebbe benissimo sopravvivere senza uomini. Potremmo fare a meno di loro: basta che ci siano le rane e i vermi.»

"È proprio un bellissimo discorso!" pensò il rospetto. "Deve essere un grand'uomo, e come siede in alto, dove io non ho mai visto sedere ancora nessuno, e come sa nuotare!" esclamò quando la cicogna s'innalzò nell'aria spiegando le ali.

Mamma cicogna continuò a parlare nel nido, raccontò della terra d'Egitto, dell'acqua del Nilo e di tutte quelle meravigliose paludi che si trovavano nel paese straniero. Le sue parole suonarono nuove e interessanti al piccolo rospo.

"Devo andare in Egitto!" disse. "Se solo la cicogna volesse portarmi con sé, o uno dei suoi piccoli. Io li ricambierò servendoli il giorno del loro matrimonio. Ah, se arrivassi in Egitto sarei proprio felice! Ho tanti desideri e una tale voglia, e certo valgono più di una gemma preziosa in testa!"
E invece aveva proprio quella gemma preziosa: quell'eterna nostalgia e quella voglia di andare in alto, sempre più in alto! gli brillava dentro, si esprimeva nella gioia, si irraggiava nel suo desiderio.
In quel momento sopraggiunse la cicogna; aveva visto il rospo tra l'erba, si precipitò in basso e prese quel piccolo animaletto senza troppo garbo. Il becco stringeva, il vento soffiava, non era certo piacevole; ma intanto lui andava in alto, in alto verso l'Egitto, lo sapeva bene; e per questo gli brillavano gli occhi, e sembro che ne uscisse una scintilla.

"Cra! Cra! Ahimè!"

Il corpo era morto, il rospo ucciso. Ma la scintilla che proveniva dai suoi occhi, di quella che accadde?
Il raggio del sole la prese, il raggio del sole portò via la gemma preziosa dalla testa del rospo. Ma dove la portò?

Non devi chiederlo allo scienziato, chiedilo piuttosto al poeta; lui te lo racconterà come una favola, e ci sarà il bruco, e la famiglia delle cicogne. Pensa! Il bruco si è trasformato e è diventato una bella farfalla; la famiglia delle cicogne vola oltre le montagne e il mare fino alla lontana Africa e ciò nonostante trova la strada più breve per tornare di nuovo nella terra danese, nello stesso posto, sullo stesso tetto! Sì, è proprio tutto come una favola, eppure è vero! Puoi chiederlo allo scienziato lui lo dovrà ammettere; e tu stesso lo sai, perché l'hai visto.

Ma la gemma preziosa nella testa del rospo?

Cercala nel sole! Guardalo, se sei capace!

Il bagliore è troppo forte. Noi non abbiamo ancora gli occhi in grado di guardare in tutta quella gloria creata da Dio, ma li avremo, e allora diventerà la favola più bella, perché anche noi ci saremo.

 

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