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Sperimentare le competenze: anno secondo

di Giancarlo Cerini da La vita scolastica

Certificazione delle competenze: che cosa hanno detto le scuole sperimentatrici? Che cosa c'è ancora da fare? Come potrebbe cambiare la valutazione? Giancarlo Cerini fa il punto per noi. 

Cronistoria di un evento

Tutto ebbe inizio con le Indicazioni/2012 per il primo ciclo (e forse anche prima). Il testo programmatico per la scuola dai 3 ai 14 anni (DM 254/2012) è chiaramente ispirato al leitmotiv delle competenze (1): si parla infatti di competenze trasversali nel profilo atteso dell’allievo in uscita a 14 anni; c’è inoltre un esplicito richiamo nelle finalità al quadro europeo delle competenze chiave (2006); gli stessi traguardi delle discipline sono riferiti allo “sviluppo delle competenze”; gli ambienti di apprendimento, più volte evocati dalle Indicazioni, fanno pensare a una didattica per competenze.

È evidente che una presenza così tambureggiante del tema delle competenze (giustificata dalla ricerca di un principio pedagogico coerente con le domande formative della società contemporanea) non poteva non avere conseguenze in materia di valutazione e rilascio di attestazioni di fine anno scolastico (o fine ciclo) (2).
Ma allora ci si potrebbe chiedere: ha ancora senso attestare i risultati degli apprendimenti con voti numerici, come previsto dalla legge 169/2008, accantonando altre modalità di valutazione formativa che erano state adottate dal 1977 (anno dell’abolizione del voto numerico dalle scuole elementari e medie) fino al 2008? Ancora di più, ha senso certificare i diversi livelli di competenza attraverso l’espressione di un voto (come prescrive il DPR 122/2009), quando in tutta Europa le modalità di certificazione sono del tutto diverse e pure in Italia si dà luogo alla certificazione delle competenze dei 16enni con altre modalità (cfr. DM 9/2010)?

Dunque, è stata salutata con favore dalla scuola l’emanazione della CM 3/2015, non tanto perché proponeva un nuovo modello nazionale di certificazione da rilasciare al termine della scuole primaria e della scuola secondaria di primo grado, ma piuttosto per la riapertura di una questione “pedagogica” circa il significato della certificazione nell’ambito della scuola dell’obbligo e, di conseguenza, anche delle pratiche valutative correnti, oggi veicolate da un ricorso spropositato alla valutazione sommativa imperniata sui voti in decimi. È stato apprezzato anche l’approccio metodologico del processo avviato, attraverso un dialogo aperto con il mondo della scuola per costruire in itinere gli strumenti valutativi più coerenti con l’impostazione delle Indicazioni (3)

Le questioni in gioco

Il concetto di certificazione rimanda a una pluralità di questioni, di natura pedagogica, docimologica e giuridica. In effetti, in senso proprio, la certificazione dovrebbe attestare erga omnes il valore incontrovertibile di competenze acquisite da un soggetto, sulla base di standard di riferimento accertati da un ente esterno (si pensi al sistema delle certificazioni in campo linguistico o informatico). Inoltre, l’uso di un codice comune dovrebbe favorire la spendibilità sociale dell’attestazione rilasciata, mentre in Italia sembra invece contare di più il valore “legale” del titolo di studio (4). Inoltre, nel nostro sistema educativo la certificazione è rimessa alle singole scuole, sulla base di criteri/strumenti nazionali (legge 53/2003, DPR 275/1999) e quindi è associata prevalentemente ad una dimensione conoscitiva e riepilogativa del percorso formativo dei singoli alunni. In questo senso si esprimono le Indicazioni/2012 che, nello specifico paragrafo dedicato al tema, ricordano che le “certificazioni nel primo ciclo descrivono e attestano la padronanza delle competenze progressivamente acquisite, sostenendo e orientando gli studenti verso la scuola del secondo ciclo”.
Dunque, si tratta di districare una questione complessa: scegliere la strada normativo-certificativa (come è stato fatto per i modelli vigenti per gli “adulti” che si presentano agli esami di terza media – CM 48 del 4-11-2014), oppure optare per una valenza nettamente formativa, come si è fatto per la sperimentazione della CM 3/2015, che insiste molto sul valore della verifica e documentazione in progress delle competenze in fase di acquisizione?

Le linee guida che accompagnano la sperimentazione in atto nel primo ciclo insistono molto sui risvolti pedagogici della certificazione e sembrano interessate soprattutto alle retroazioni virtuose dei nuovi modelli sulle pratiche valutative (da ampliare in una ottica di valutazione autentica), sulle implicazioni didattiche (per contenere l’eccesso di lezioni frontali che sembra prevalere nella scuola italiana), sulle architetture curricolari (per ricostruire un intreccio coerente tra competenze, scelte progettuali, verticalità dei percorsi). Si lasciano in ombra altri aspetti, come l’impatto docimologico della certificazione, il suo rapporto con la valutazione legata agli apprendimenti disciplinari e ai comportamenti, la fruibilità sociale dei nuovi strumenti. Come possiamo chiedere ai genitori di destreggiarsi tra voti in decimi e livelli espressi dalle lettere, o – ancora di più - tra apprezzamento degli apprendimenti e apprezzamento delle competenze, se anche tra gli addetti ai lavori mancano punti di riferimento condivisi?
Ma procediamo con ordine, dando conto del lavoro delle scuole impegnate nella sperimentazione (5).

Cosa hanno detto le scuole sperimentatrici?

Il rapporto nazionale sugli esiti del primi anno di sperimentazione dei nuovi modelli (6) mette in evidenza una serie di aspetti positivi che gli operatori della scuola hanno segnalato. In particolare sembrano condivisi dalle scuole che hanno sperimentato il nuovo set di strumenti (oltre 1.400) i seguenti aspetti:

  • il riferimento esplicito alle Indicazioni/2012, alla cultura pedagogica sottesa, all’idea di un curricolo orientato alle competenze, i cui elementi prescrittivi sono il profilo in uscita e i traguardi di competenza delle discipline, nell’alveo di una scuola inclusiva;
  • il richiamo al profilo delle competenze dello studente 14enne (che rappresenta la finalità generale della scuola del primo ciclo) come utile riequilibrio dell’asse formativo della scuola di base, che non è comprimibile nelle sole discipline del curricolo obbligatorio;
  • la ricchezza del profilo formativo del 14enne, che però appare quasi sovrabbondante nel versante delle competenze personali, sociali, civiche e invece più sobrio in quelle cognitive, direttamente riferibili alle discipline;
  • la presenza di una certificazione intermedia per la quinta classe elementare, per regolare la progressione del percorso formativo di base, nell’ottica di un curricolo verticale;
  • il rimando esplicito tra le competenze del profilo del 14enne e le 8 competenze-chiave del relativo documento europeo (2006). Rimane aperto il dilemma del doppio riferimento: meglio quello italiano (prima colonna del modello) o quello europeo (seconda colonna del modello)?;
  • il richiamo alle discipline presente nella terza colonna del modello, ove appare la dicitura “tutte le discipline contribuiscono alle competenze trasversali….”; il passaggio, infatti, è foriero di interpretazioni diverse e di ambiguità. Se ne chiede una profonda revisione;
  • l’ancoraggio delle competenze “soft” (profilo finale) alle competenze “dure” (discipline) e la loro reciproca relazione richiederebbero una soluzione innovativa, ma praticabile;
  • la scala a 4 livelli per l’apprezzamento delle competenze (A, B, C, D) esprimono una progressione aperta a partire da un livello iniziale (non negativo) che segnala attenzione pedagogica a competenze in fase di prima manifestazione…;
  • il vettore che spiega la progressione dei livelli è relativo alla padronanza e al ri-uso intelligente di conoscenze e abilità, alla consapevolezza del proprio agire. Il criterio si riferisce a: novità delle situazioni da affrontare, complessità delle soluzioni, autonomia nelle procedure cognitive e nei comportamenti relazionali;
  • i livelli non sono rappresentati da voti numerici, che tendono invece a cristallizzare le situazioni e che veicolano operazioni puramente aritmetiche;
  • l’indicatore “aperto” che può mettere in risalto particolari talenti o aspetti non considerati dalla griglia ufficiale, per personalizzare la valutazione e imprimere un valore orientativo e formativo alla certificazione;
  • il giudizio orientativo, che dovrebbe essere finalizzato non a una scontata scelta dell’ordine scolastico successivo, ma al rafforzamento della capacità di auto-orientarsi (didattica orientativa);
  • esigenza di una semplificazione comunicativa del nuovo documento, tenendo conto della prevalente finalità di informazione/coinvolgimento dei genitori nella conoscenza dei livelli di competenza acquisita dai loro figli.

Qualche riflessione critica

Le scuole hanno segnalato anche numerosi aspetti critici o comunque questioni che meriterebbero una diversa “sistemazione” nell’ambito della redazione definitiva dei modelli nazionali. L’analisi della tabella riassuntiva, con cui si chiedeva una misura dell’apprezzamento di determinati aspetti dei nuovi strumenti, ci consente di sottolineare alcuni problemi aperti.

  • Sembra più gradito il riferimento alle 8 competenze chiave europee, rispetto ai 12 punti in cui si articola il profilo di uscita dal primo ciclo (entrambi i riferimenti sono presenti nelle nuove schede). È possibile che questa preferenza sia dettata dalla migliore leggibilità degli enunciati europei, rispetto a quelli contenuti nel profilo italiano che presentano un linguaggio per addetti ai lavori.
  • Si registrano notevoli perplessità circa il legame tra competenze trasversali e apporti delle singole discipline. Il richiamo alle discipline (spesso è stata associata una sola disciplina alla competenza trasversale considerata) è sembrato vanificare il discorso sulle competenze, restringendole nell’alveo degli apprendimenti scolastici, senza metterne in evidenza il loro valore aggiunto, di capacità di utilizzo in nuovi contesti delle conoscenze e abilità apprese (7) .
  • Notevole successo ha riscosso la sostituzione del voto in decimi con altre forme di descrizione dei livelli di competenza (enunciati narrativi sintetizzati poi in un valore letterale A, B, C, D), ivi compresa l’assenza di un livello totalmente negativo. In questo caso, comunque, si nota qualche resistenza.

Ritorna, dunque, il tema del significato pro-attivo della certificazione nel primo ciclo, per la quale si dovrebbe più propriamente parlare di documentazione delle competenze in via di acquisizione, piuttosto che di accertamento “oggettivo” delle stesse. L’obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di conoscere e comprendere le competenze per promuoverle, piuttosto che per misurarle e attestarle. Questa pluralità di interpretazioni spiega anche qualche incertezza delle scuole nel momento del rilascio del certificato: prima o dopo l’esame di terza media? Il MIUR ha chiarito che la certificazione non va rilasciata in esito alle prove d’esame, ma indipendentemente da esse come riconoscimento del “guadagno formativo” realizzato dall’allievo lungo tutto il percorso.

Altri aspetti sembrano essere più controversi, come la presenza del giudizio orientativo, che dovrebbe essere fortemente anticipato rispetto al termine dell’anno scolastico (di fatto viene utilizzato in sede di pre-iscrizioni alle scuole superiori). Anche l’idea di uno spazio “aperto” per descrivere in autonomia una competenza non presente nella griglia nazionale trova qualche imbarazzo, perché sembra aprire la strada a una incursione dell’extrascuola nel curricolo (anche se, in effetti, l’idea di competenza richiama il matching tra saperi formali, informali, non formali). Comunque, resta da approfondire quale sia il miglior modo di personalizzare la certificazione delle competenze, ad esempio con riferimento agli allievi disabili o portatori di BES, che seguono una programmazione educativa e didattica individualizzata.

Cosa c’è ancora da fare

 

L’accoglienza positiva e la massiccia adesione delle scuole non può far dimenticare i nodi che ancora permangono per una efficace formulazione degli strumenti di certificazione.

Intanto, la complessità del modello può far correre il rischio di una operazione formale, per compilare frettolosamente un modello (il tempo non è una variabile indifferente). L’impressione è che ci sia mossi un po’ intuitivamente, con un approccio olistico alle competenze (lo sguardo complessivo dei docenti sugli allievi). D’altra parte, una meticolosa raccolta di informazioni sembrerebbe fuori luogo, oltre che dispendiosa. È pur vero che la certificazione implica la valutazione e che questa debba appoggiarsi su un ampio ventaglio di strumenti (prove aperte e compiti di realtà, rubriche di osservazione, diari di bordo, autobiografie narrative), che non hanno solo valore docimologico, ma dovrebbero consentire di sondare in profondità un concetto complesso come quello di “competenza” (8). Si esce infatti dai tradizionali setting scolastici per evocare la capacità di affrontare situazioni inedite, sfidanti, outdoor, sapendo riutilizzare il bagaglio di conoscenze e abilità acquisite in classe. Per usare una metafora sportiva, è la differenza che corre tra “allenamento” (che si basa sull’esercizio ripetuto per acquisire strumentalità e automatismi) e “partita” (ove occorre utilizzare il bagaglio delle proprie abilità, con attenzione al contesto, alle “mosse” necessarie, anche con un pizzico di creatività).

Dunque, la valutazione/certificazione rimanda alle modalità con cui la scuola può promuoverle (didattica per competenze?), facendo assaporare agli allievi il piacere di presentarsi alle partite con un corredo sicuro di gesti “fondamentali” ben padroneggiati.
Le potenzialità delle “linee guida” allegate alla CM 3/2015 sono ancora tutte da esplorare, come segnala la nota MIUR n. 11141 del 6-11-2015 che rilancia la sperimentazione anche per l’a.s. 2015-16, e sintetizza le domande di ricerca poste alla scuola in un documento di orientamento allegato (9).

Lo scenario della delega “aperta” con la legge 107 (10)

Ma le eventuali modifiche da apportare al modello sperimentale di “certificazione” in uso nelle scuole dovranno, di necessità” inserirsi nell’alveo della delega contenuta nella legge 107 del 13 luglio 2015 che, all’articolo 1, comma 181, lett. i) prevede: “la “revisione delle modalità di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti del primo ciclo di istruzione, mettendo in rilievo la funzione formativa e di orientamento della valutazione, e delle modalità di svolgimento dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo”.
Si tratta di una delega molto ampia, da interpretare disponendo di riferimenti culturali sicuri e di una condivisa cultura della valutazione. Queste condizioni non sono così scontate, se si scorrono le pagine dei quotidiani, ove anche autorevoli opinionisti propugnano la richiesta di maggior rigore nella scuola, a partire dal ripristino della funzione selettiva della valutazione anche nella scuola di base (11) .

Invece, il riferimento alla funzione formativa della valutazione sembra evocare il superamento delle attuali modalità di valutazione, imperniate sul voto attribuito alle singole discipline, abbinato a un criterio docimologico assai selettivo (l’insufficienza in una sola disciplina può determinare la bocciatura). È quanto chiedono a gran voce numerose associazioni professionali di insegnanti (12), che sottolineano come la strumentazione introdotta nel 2008 abbia impoverito la qualità formativa e orientativa della valutazione: “La valutazione è formativa quando consente di descrivere il percorso, di collocarsi al suo interno, di acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità; quando non classifica, ma promuove conoscenze e autoconoscenza”.
Gli estensori del documento mettono in evidenza anche la sovrapposizione tra le metodologie di valutazione degli apprendimenti (i voti) e quelle per la valutazione delle competenze (i livelli) che possono disorientare non poco i genitori e gli stessi insegnanti.
Dobbiamo anche ricordare che in molti paesi europei (anche quelli che ottengono risultati di eccellenza) non vige il sistema della classificazione numerica degli apprendimenti, almeno nelle prime classi della scuola dell’obbligo, perché l’obiettivo principale è quello di esplorare tutti i talenti dei ragazzi, di promuoverli, di sollecitare un atteggiamento positivo verso l’esperienza scolastica.

Come potrebbe cambiare la valutazione

Sarà dunque decisivo il “segno” che prenderà il processo di revisione legislativa, che potrebbe scegliere la strada minimalista di un semplice “restyling” del Regolamento relativo alla valutazione degli allievi (il DPR 122/2009), utile a superare le numerose incrostazioni che in questi anni si sono sedimentate sulle pratiche valutative, ma potrebbe anche coraggiosamente imboccare la via maestra di un ripensamento complessivo del sistema di valutazione degli allievi, secondo alcune direttrici che cominciano a intravvedersi:

  • evidenziare il valore conoscitivo, formativo e pro-attivo della valutazione degli allievi (questo implica il superamento del voto in decimi, in favore della descrizione per livelli);
  • semplificare le attuali procedure, fino a integrare in un unico documento di valutazione le attuali pagelle, schede di certificazione, per dare conto distintamente di apprendimenti, comportamenti e competenze (con un linguaggio fortemente accessibile ai genitori);
  • rivedere il sistema delle prove INVALSI, per sottolineare il loro valore conoscitivo dei livelli di apprendimento su alcune competenze-chiave, fornendo indicazioni restrittive per il loro corretto uso pubblico, e modificando eventualmente il disegno della somministrazione (classi coinvolte, tempistica, discipline indagate);
  • modificare in profondità l’esame di stato di fine primo ciclo, per ripristinare il suo carattere effettivamente pluridisciplinare, evitando la frammentazione attuale e spostando la prova INVALSI nei mesi precedenti (per segnalarne il valore conoscitivo).

La delega si riferisce anche all’esame di stato al termine del secondo ciclo, e questo amplifica la portata dei provvedimenti sollecitati dalla legge 107/2015. Vedremo se sarà l’occasione per ricucire quel rapporto tra scuola reale e scuola legale che tutti auspicano.  

Note

(1) Per un’analisi a più voci del testo delle Indicazioni/2012 si suggerisce l’e-book: G. Cerini (a cura di), Passa parola… Chiavi di lettura delle Indicazioni 2012, Homeless Book, Faenza (Ra), 2012. Per un approfondimento sul tema della Indicazioni/2012 si rimanda al testo: S. Loiero, M. Spinosi, Fare scuola con le Indicazioni. Testo e commento. Didattica e spunti operativi, Giunti-Tecnodid, Napoli, 2012.
(2)  Una ricognizione delle questioni culturali, pedagogiche e curricolari poste dal tema delle competenze nella scuola di oggi è contenuta nell’articolo di G. Cerini, Competenze da prendere sul serio…, apparso sul sito “Notizie della Scuola”, che dà conto del forum di approfondimento svoltosi a Taurasi (AV) nei giorni 3-4 maggio 2014, organizzato da Tecnodid Formazione e che ha visto la partecipazione di numerosi esperti del settore: M. Castoldi, C. Petracca, A. Carlini, M. Muraglia, M. Spinosi, F. Da Re, G. Cerini, S. Loiero e altri.
(3) Per una presentazione delle caratteristiche dei modelli sperimentali di certificazione si rimanda al fascicolo monografico di “Notizie della scuola” interamente dedicato alla certificazione nella scuola di base: G. Cerini, M. Spinosi (a cura di), La certificazione delle competenze nel primo ciclo di istruzione in “Notizie della Scuola”, n. 11, 1-15 febbraio 2015, Tecnodid, Napoli, con saggi di commento curati da M. Castoldi, F. Da Re, M. Spinosi e G. Cerini.
(4) Per un esame delle problematiche giuridiche sottese ai vari campi di utilizzo delle certificazioni si rimanda alla voce “certificazione”, curata da G. Cerini nell’ambito del “Repertorio 2015”, Tecnodid, Napoli, 2015.
(5) Un primo resoconto dell’impatto della CM 3/2015 nella scuola è esaminato in un contributo di G. Cerini pubblicato su "Notizie della scuola".
(6) Il report di monitoraggio è pubblicato integralmente nel sito del MIUR, nell’apposito spazio web dedicato alle Indicazioni Nazionali 2012. Il monitoraggio è stato realizzato attraverso la somministrazione di un questionario a tutte le scuole che hanno partecipato alla sperimentazione (si sono avute 1276 risposte rispetto alle 1477 scuole partecipanti, pari all’86,4%) e mediante focus group svoltisi in 77 scuole sperimentatrici, tramite incontri gestiti da membri degli staff regionali che coordinano le misure di accompagnamento alle Indicazioni/2012 (CM 22/2013).
(7) Per un approfondimento del tema di rimanda al fascicolo monografico di “Rivista dell’istruzione”, n. 5, settembre-ottobre 2015, Maggioli, Rimini, su: “Saperi, allievi, didattiche”.
(8) C. Petracca, Valutare e certificare nella scuola. Apprendimenti comportamenti competenze, Lisciani, Teramo, 2015.
(9) La nota 11141/2015 del MIUR è reperibile in rete.
(10) Per una analisi puntuale dei contenuti della legge 107/2015 si rimanda al testo di G. Cerini, M. Spinosi (a cura di), Una mappa per la riforma. Viaggio tra i 212 commi della legge 107/2015, Tecnodid, Napoli, 2015, che contiene saggi di inquadramento curati da esperti della materia e il testo commentato della legge.
(11) Ci riferiamo all’editoriale di E. Galli della Loggia, apparso sul Corriere della Sera del 6 novembre 2015 “Che errore ignorare la scuola”, che liquida come buonista la cultura pedagogica della scuola italiana, che avrebbe portato a un vero e proprio disastro nei livelli di apprendimento dei ragazzi in uscita dalla scuola dell’obbligo. 
(12) Il documento “Voti a perdere” è reperibile sui siti delle associazioni firmatarie, tra cui CIDI, AIMC, MCE, UCIIM, ADI, Proteo e molte altre. 

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