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Questioni di stile

Questioni di stile.
di Patrizia Appari


Negli ultimi tempi sono apparsi numerosi articoli su riviste specializzate cartacee ed on line che  trattano del
ripristino della credibilità nei concorsi pubblici.

La causa principale della non attendibilità di questa forma di selezione e reclutamento è individuata dagli esperti nelle condotte dei funzionari preposti alla valutazione dei candidati.

Si parla di civica amoralità.

Si tratta solo di amoralità civica, comportamento senza ombra di dubbio assai grave e ormai molto diffuso nel nostro paese o tale debolezza non è altro che l’aspetto finale e immediatamente visibile di una serie di deficienze, così radicate nel sistema scolastico, che vanno ben oltre la questione morale e che addirittura giustificano questo comportamento, come unico rimedio, ad una incapacità di risolvere l’annoso problema della selezione del personale con metodi diversi e congruenti alla sostanza stessa dell’oggetto con il quale si ha a che fare?

 

Nel momento nel quale ai concorsi, a qualunque livello essi si riferiscano, si presentano migliaia di candidati, non è più facile e meno dispendioso (certamente anche più “rassicurante”) scegliere per clientela, per “amicizia”, piuttosto che attraverso procedure scientifiche che metterebbero a dura prova la competenza degli stessi commissari?

Il problema della valutazione è complesso tanto che ogni volta che si tenta di introdurre innovazioni nella materia succedono guai. Non dimentichiamo che l’unica coraggiosa proposta di valutare gli insegnanti in servizio (art 29 del CCNL/99 del comparto scuola per il quale si sarebbe dovuto decidere per una maggiorazione retributiva, attraverso prove culturali, per gli insegnanti con almeno 10 anni di servizio) ha contribuito alla caduta dell’allora governo in carica.

Per adottare metodologie di valutazione e selezione avvedute bisognerebbe conoscere ed adottare metodologie elaborate dalle teorie dell’organizzazione, ma non solo.

Mi riferisco, per esempio,  agli studi e alle ricerche sugli stili di pensiero sviluppati da più scuole psicologiche negli ultimi anni ed in particolare alle ricerche di Robert Sternberg (Yale University, New Haven, CT, USA).

Questo autore, considerato uno dei massimi studiosi attuali dell’intelligenza, asserisce che la cultura dell’organizzazione, qualsiasi sia l’organizzazione, prevede che le cose si facciano in un certo modo. Le persone che possiedono un profilo di stili di pensiero congruente all’organizzazione prosperano, coloro i quali manifestano stili discrepanti da quelli dell’organizzazione di appartenenza, falliscono.

I dirigenti di livello inferiore che hanno più successo, spesso, hanno uno stile prevalentemente esecutivo (fanno bene quel che viene loro chiesto di fare). Tali persone sono favorite per la promozione ai livelli più alti di dirigenza. Chi, ai livelli bassi, possiede stili di pensiero più flessibili e creativi, secondo queste teorie, viene bloccato agli inizi della carriera non potendo mai raggiungere i livelli più alti.

Robert Sternberg argomenta questo suo pensiero affermando che: “C’è poco da meravigliarsi se molti dirigenti scolastici sono riluttanti ai cambiamenti. Essi sono giunti dove si trovano perché hanno fatto quel che era stato detto loro di fare, non perché amavano fare le cose a modo loro”.[1]

Sternberg[2] sostiene ancora che gli stili di pensiero auspicati ai livelli più alti di dirigenza sono esattamente opposti a quelli apprezzati ai livelli più bassi di dirigenza, pertanto è più probabile che chi viene promosso dai livelli più bassi a quelli più alti svolga bene il suo lavoro di livello basso, i secondi potenzialmente più adatti a funzionare bene ai livelli più alti, invece, generalmente non vengono scelti.

E’ così che il sistema si ritrova a escludere le persone di cui più avrebbe bisogno e a tenere quelle che in seguito gli serviranno di meno.

 

La teoria sugli stili di pensiero ci aiuta anche a spiegare come funzionano i meccanismi di selezione in sede di concorso.

Il valutatore, o meglio il suo stile, influenza la valutazione. Possiamo scomodare Edgar Morin per confortare questa tesi, quando afferma che “il sistema osservante e il sistema osservato entrano in interrelazione in maniera cruciale: l’osservatore fa parte anche della definizione del sistema osservato,  e il sistema osservato fa parte anche dell’intelletto e della cultura dell’osservatore sistema[3].

Il valutatore esecutivo e conservatore seleziona docenti e dirigenti esecutivi e conservatori. Il valutatore innovativo e radicale seleziona docenti e dirigenti innovativi e radicali. Nel primo caso, che è quello che si manifesta con più frequenza, la conseguenza è l’immobilità del sistema a causa degli stili indotti dai e nei suoi membri.

Anche la forma dello strumento di valutazione, il saggio, che va ancora per la maggiore nella selezione di candidati di tutti i generi, non avvantaggia la selezione di dirigenti protesi verso il cambiamento. Questa strumento di valutazione non favorisce alcun stile di pensiero poiché la valutazione finale dipende dal modo in cui la prova viene valutata. Il valutatore può privilegiare gli aspetti mnemonici, quelli che si riferiscono alle grandi idee, quelli che riguardano particolari dettagli, quelli relativi all’organizzazione del saggio, quelli che favoriscono aspetti creativi.

Se i criteri di valutazione non vengono espressi prima dello svolgimento delle prove e se i valutatori condividono i criteri di valutazione senza sforzarsi di comparare le loro valutazioni, le scelte continueranno solo ad essere occasionali. Occasionali sul piano delle abilità e della motivazione. Occasionali sul piano della competenza. Occasionali sul piano della possibilità di promuovere innovazione e cambiamento.

L’ acquiescenza che legittima l’amorale civica non è solo colpevole ma è anche inconsapevole dei propri processi cognitivi e quindi dei conseguenti risultati.

Per concludere con Edgar Morin, il requisito indispensabile perché le cose possano cambiare è che l’osservatore (in questo caso il valutatore) si sforzi di conoscere la propria conoscenza.

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1. Sternberg  R. - Stili di pensiero. Differenze individuali nell'apprendimento e nella soluzione  di problemi, Centro Studi Erickson, Trento, 1998
3. Morin E. - Il metodo, Feltrinelli, Milano, 1983

 

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